FRA GUIDONE ECCETERA ECCETERONE 8 страница



"Ho sentito che la peste cammina con i topi e altri animali da un paese all'altro e da una casa all'altra attraverso la terra."

"E io ho sentito che cammina anche attraverso l'acqua del mare e quella dei fiumi."

"E anche attraverso l'aria che respiriamo. Bisognerebbe non respirare, almeno tanto che attraversiamo il paese."

"E i polmoni?"

"Li tieni fermi per un po'. Uno può tenere fermi i polmoni come si possono tenere ferme le mani o le gambe."

Millemosche Pannocchia e Carestìa trattengono il fiato. Diventano rossi in faccia e poi violetti e alla fine stanno passando dal violetto al nero. Quando vedono che finalmente sono lontani dal paese riprendono a respirare ingoiando più aria che possono e la trovano buona e dolce come la carne di maiale.

"Meno male che non abbiamo preso la peste."

"Sei sicuro?"

"Sicurissimo. Gli appestati non sono come noi, si riconoscono subito."

"Come si fa a vedere se uno ha la peste?"

"Intanto l'appestato ha i campanelli legati ai piedi."

"E poi?"

"E poi l'appestato ha la peste e noi non abbiamo niente."

"Meno male, l'abbiamo scampata bella."

La botte ha infilato un canale che porta l'acqua a un mulino là in fondo circondato da pioppi altissimi e sberluccicanti. C'è una grande ruota di legno a pale che gira spinta dall'acqua perché si tratta di un mulino molto moderno dove l'acqua ha preso il posto dell'asino, cioè è lei e non l'asino che fa andare la macina. Il canale scende verso il mulino sempre più veloce trascinando la botte. Millemosche Pannocchia e Carestìa si accorgono che sta succedendo qualcosa quando questo qualcosa è già successo, cioè la botte è andata a sbattere contro un pilone di sassi e si è sfasciata completamente scaraventandoli in acqua. Non riescono nemmeno a gridare perché l'acqua gli entra nella bocca nelle orecchie negli occhi e in molti altri posti. Cercano di aggrapparsi all'acqua per non affogare. Millemosche riesce a montare a cavallo della grande ruota che continua a girare e lo solleva in aria lanciandolo sul tetto del mulino. Si sente un gran rumore di tegole rotte e un urlo scannato. Millemosche sprofonda nel vuoto. Pannocchia e Carestìa si aggrappano anche loro alla ruota e volano in aria andando a finire dove è andato a finire Millemosche.

 

O ANGELI O DIAVOLI

 

Uno stanzone tutto bianco di farina, grandi ragnatele, quattro mole che girano macinando il grano e da una parte un cassone pieno di farina. Come tre sassi uno dopo l'altro Millemosche Pannocchia e Carestìa piombano giù dal soffitto e vanno a cadere dentro il cassone della farina sollevando una nuvola bianca. Una donna che sta vicino a una macina si mette a urlare a scannagòla mentre i tre si agitano dentro al cassone. Sono tutti grondanti d'acqua e perciò la farina gli si impasta addosso imbiancandoli dalla testa ai piedi. Mezzo cecati e Millemosche più guercio che mai, escono dal cassone e a tentoni cercano una via d'uscita. Si mettono a correre da una parte all'altra sbattendo contro i muri e le porte mentre la donna scappa si nasconde chiama aiuto. In mezzo al polverone di farina arriva il marito che scende da una scaletta di legno con in mano un grosso bastone. Sembra zoppo ma non lo è. Uno zoppo fa sempre più paura di uno con le gambe sane e Millemosche a forza di toccare e di muoversi dentro lo stanzone riesce finalmente a trovare la porta. Si butta fuori a testa in avanti seguito dagli altri due. L'uomo scende di corsa gli ultimi gradini e corre fino alla porta ma invece di uscire a inseguire i tre, la chiude di colpo e poi la ferma con un pesante catenaccio, bravo merlo.

"Bravo merlo, li hai lasciati scappare!"

"Chi erano?"

"Non lo so, forse dei diavoli. Erano tutti bianchi e sono venuti giù dal cielo."

"Se erano bianchi e sono venuti giù dal cielo forse erano degli angeli."

"No no, gli angeli non possono avere delle facce come quelle. Erano magrissimi. Gli angeli sono grassi.

"Chi ti ha detto che gli angeli sono grassi?"

"Lo sanno anche i cani che gli angeli sono grassi e hanno le ali."

"Volavano?"

"No, sono caduti giù a corpo morto."

"Eppure secondo me se sono venuti giù dal cielo erano degli angeli."

"Ma non vedi che hanno sfondato il tetto? Gli angeli sono leggerissimi e volano. Quelli erano diavoli, te lo dico io. Dovevi prenderli."

"E tu vuoi che io mi metta a combattere con i diavoli? Ma lo sai che se un diavolo ti soffia addosso ti spedisce dritto all'inferno in un momento? E se per caso erano angeli e li prendevo a bastonate che cosa mi sarebbe successo?"

L'uomo controlla il catenaccio della porta e poi va a chiudere meglio una finestra perché, angeli o diavoli, quei tre gli hanno buttato all'aria tutta la farina e gli hanno sfondato il tetto e quindi meglio fuori che dentro.

 

SI MANGIA

 

Sarà un caso ma ogni volta che Millemosche Pannocchia e Carestìa trovano qualcosa da mangiare c'è sempre il padrone li vicino o se non c'è salta fuori subito dopo. La gallina il porco il bue la pecora il cavallo hanno sempre un padrone. Il pane la polenta la farina, lo stesso. Anche le mele le zucche i ceci le fave hanno un padrone, però qualche volta è abbastanza lontano e qualche volta dorme. Il padrone degli animali invece non dorme mai. Se per caso dorme e si sveglia all'improvviso perché il ladro ha fatto rumore, allora è il più cattivo di tutti. È capace di ammazzarti come ridere. Ancora ancora per un porco o per un bue ma morire per un'oca o una gallina è una gran brutta morte. Resta il fatto che mangiare è molto difficile e quando uno non mangia da un po' di tempo è difficile anche scappare per via delle gambe che non stanno in piedi. Millemosche Pannocchia e Carestìa però scappano lo stesso, bianchi come tre fantasmi, al buio, per una strada di campagna che va a finire in mezzo a una boscaglia.

Uccellacci notturni volano via spaventati sbattendo le ali al loro passaggio. I tre si fermano in mezzo al bosco a pensare. Il pensiero è questo: gli uccelli sono buoni da mangiare, anche quelli notturni tipo civette gufi e pipistrelli. Con il vantaggio che non hanno un padrone.

"Allora perché non accendiamo un bel fuoco e ci facciamo arrostire uno di questi uccellacci?"

"Prima bisognerebbe prendere l'uccellaccio."

"Va bene l'uccellaccio, ma come facciamo a farlo arrostire se non abbiamo il fuoco?"

"D'accordo accendiamo il fuoco, ma quando l'abbiamo acceso che cosa facciamo arrostire?"

"L'uccellaccio."

"Quale uccellaccio?"

"Come faccio a saperlo prima di averlo preso?"

Millemosche Pannocchia e Carestìa si fermano a raccogliere degli sterpi secchi e della legna per accendere il fuoco. Poi alla luce delle fiamme si mettono a correre dietro agli uccellacci, li vanno a stanare dai cespugli dove stanno dormendo, fanno dei gran salti in aria ma ritornano giù sempre a mani vuote. Il fatto è che gli uccellacci volano. Allora ritornano tutti e tre vicino al fuoco. C'è già la brace e la cenere al punto giusto. Si mette giù l'uccellaccio con le penne e tutto, poi si copre con la cenere bollente e si lascia lì pochi minuti. Quando si scopre, le penne sono bruciate e l'uccellaccio è pronto da mangiare. Non si butta via niente, si mangia la testa e si mangiano anche le budelle perché sono piene di grani di ginepro e anzi sono molto profumate e danno profumo anche al resto. Seguendo il filo dei pensieri, Carestìa si mette a scavare sotto la cenere ma l'uccellaccio non c'è più.

"Chi lo ha preso?"

"Che cosa?"

"L'uccellaccio."

"Guarda che ti sbagli."

Carestìa guarda con odio quei due ladri di Millemosche e Pannocchia. Secondo lui lo hanno imbrogliato, non sa come ma in qualche modo. Si strappa di testa il berretto impastato di farina e lo butta in terra con rabbia. Il berretto. Ma adesso Carestìa si mette a ridere perché gli è venuta in mente una cosa che lo fa ridere di contentezza.

"Io avrei in mente una bella idea."

"Che cosa?"

"Non so se ve la dico."

"Dicci almeno di che cosa parla questa idea. Parla di mangiare?"

"Sì."

"E allora dilla."

"Sarebbe questa: fare cuocere il berretto e poi mangiarlo."

Il berretto di Carestìa è impastato di farina e ha lo spessore del dito pollice di un piede. Ha già la forma tonda di una focaccia. Ha anche un bel buco nel mezzo. Sembra fatto apposta per essere cotto e mangiato. Carestìa lo mette sulla brace mentre Millemosche e Pannocchia lo stanno a guardare con gli occhi. Millemosche fa uno scaracchio[20] a tutti gli uccellacci che stanno nel cielo o nascosti tra i cespugli e che non si sono lasciati prendere, poi si inginocchia e si mette a soffiare sulla brace per ravvivarla. Un profumo di focaccia abbrustolita viene su dal berretto e annebbia la mente di tutti e tre ma Carestìa si rismuove subito e solleva la focaccia, cioè il berretto, per vedere se è già cotta. Non ancora. Aspettando aspettando incominciano tutti e tre a far andare la lingua e a mandare giù la saliva. Poi Carestìa prende uno stecco e rigira il berretto, cioè la focaccia, per farlo cuocere anche dall'altra parte. Quando è ben cotto lo infilza e lo mette su un sasso. Sono molto confusi tutti e tre all'idea di poter finalmente mangiare una cosa. Però lo sapevano che un giorno o l'altro sarebbe successo. Millemosche tira fuori un coltello e dice adesso facciamo metà per uno e gli altri due fanno segno di sì con la testa senza fiatare. Allora incomincia in silenzio a tagliare la focaccia, cioè il berretto, in due parti uguali. Con una certa fatica perché dentro la pasta c'è la stoffa. Millemosche si prende la prima metà, poi taglia l'altra metà in due parti uguali e ne da una a Carestìa e una a Pannocchia.

"Metà a me, metà a te, e metà a te."

"Guarda che la mia metà è più piccola della tua."

"Anche la mia metà è più piccola, che ti venga la lebbra!"

."Allora rifacciamo da capo: metà a me, metà a te, e metà a te."

Millemosche ripete la divisione talis et qualis come prima. Carestìa e Pannocchia si rendono conto che c'è qualcosa che non va ma non riescono a capire dove sta l'errore. Rigirano fra le mani i loro pezzi di berretto, cioè di focaccia, e li confrontano con quello che Millemosche tiene stretto fra le sue.

"Non capisco perché la mia metà è più piccola della tua."

"Sarà l'effetto della fame. Non è la prima volta che la fame ti fa dei brutti scherzi."

"Anche la mia metà è più piccola."

"Ne parliamo dopo mangiato. Quando avete fame non siete più capaci di ragionare."

Millemosche addenta alla svelta il suo pezzo di focaccia croccante, cioè di berretto croccante, e incomincia a masticare. Carestìa e Pannocchia non sono per niente convinti di questa divisione e avrebbero voglia di questionare ma non resistono più e si mettono in bocca i loro pezzi. Sono buonissimi e li mandano giù in quattro boccate. Poi si guardano in faccia tutti e tre. Poi si guardano le mani. Sono vuote.

"Io ho ancora fame."

"Anch'io."

"Cioè io ho più fame di prima."

"Proviamo a dormire così ci dimentichiamo la fame."

"Ma io quando ho fame non riesco a dormire per via dello stomaco."

"E io per via della pancia."

"Quando dormi dormi e non hai più fame. Proviamo a dormire, provare non costa niente."

I tre si buttano giù raggomitolati sull'erba e chiudono gli occhi. Ma Carestìa continua a far andare le mascelle, non riesce a fermarle. Si sentono i suoi denti che scricchiolano a vuoto. Millemosche non riesce a chiudere del tutto l'occhio beccato dal merlo nero e allora ci tiene sopra una mano, poi distende le gambe come se dormisse ma lo sa anche lui che non dorme. Pannocchia apre un occhio per guardare Carestìa.

"E smettila di masticare."

"Io mastico fin che mi pare."

"Abbiamo deciso di dormire, no? E allora stai fermo con i denti."

"State zitti che io sto dormendo. Ho il sonno leggero e se parlate mi sveglio subito."

"Se parli è segno che non dormi neanche tu."

"Parlo perché mi avete svegliato, altrimenti dormirei."

"Va bene, io non dico più niente però devi incominciare tu a dormire."

"Ecco, io mi sono già addormentato."

"Non ci credo."

"Giuro che dormo come un sasso."

"Lo dici come se fossi capace solo tu di dormire. Guarda, dormo anch'io e dormo anche più di te."

"Allora stiamo dormendo tutti e tre. Stiamo zitti se no ci svegliamo."

 

LA MUCCA E CIOÈ LA VACCA

 

Millemosche Pannocchia e Carestìa stanno ancora dormendo raggomitolati sull'erba e non si sa quanto tempo è passato. Il cielo è rosso e dev'essere l'alba o il tramonto, uno dei due. Andrebbero avanti a dormire ancora chissà quanto ma d'improvviso risuona lì vicino un campanaccio. I tre si svegliano di soprassalto e dopo alcuni movimenti confusi aprono gli occhi. Prima di tutto si meravigliano di essere vivi e di essere quelli che sono e cioè Millemosche Pannocchia e Carestìa. Poi si meravigliano di vedere li a due passi una mucca grassa e lucida che li guarda con occhi mansueti. Si guardano in faccia colpiti dallo stesso dubbio finché Millemosche si distende di nuovo sull'erba tranquillamente, come se niente fosse.

"Non illudiamoci come al solito. Stiamo sognando."

"Tu che cosa sogni?"

"Una vacca bianca e grassa."

"Anch'io."

"E io anch'io."

"Ma com'è possibile che tutti e tre stiamo sognando la stessa cosa?"

"Succedono di queste combinazioni ogni tanto".

"Non potrebbe essere un altro che ci sta sognando?"

"Come sarebbe?"

"Cioè siamo andati a finire dentro al sogno di qualcuno."

"E chi sarebbe questo tale?"

"Non lo so, uno che ci conosce."

"E se è un altro che ci sogna, noi dove siamo in questo momento?"

"Dove ci siamo fermati a dormire."

"Allora qui, perché ci siamo fermati qui. Quindi se siamo qui siamo noi."

"Che c'entra? Uno ci può sognare dove vuole lui, qui o in un altro posto, con la vacca o senza la vacca."

"Allora io dico che questa vacca è troppo grassa per essere vera. Una vacca così grassa non esiste. I sogni fanno di questi scherzi, fanno sembrare tutto più bello e più grasso."

"Io vado a toccarla."

"E quando l'hai toccata?"

"Se è viva è segno che non stiamo sognando."

"Anche nei sogni le cose sembrano vere, poi ti svegli e ti accorgi che hai sognato e basta."

"Io dico che stiamo sbagliando tutto. La domanda che dobbiamo farci è questa: abbiamo fame sì o no?"

"Sì."

"E allora io dico che è ridicolo patire la fame anche dormendo. Ce la mangiamo in sogno."

Carestìa ha ragione, deve riconoscerlo anche Millemosche. Si alzano tutti e tre e avanzano verso la mucca con le mani spalancate. Le mani si posano sul dorso sulla pancia e sul testone della bestia. La carezzano e la palpano come per misurarne la grossezza e la grassezza.

"È una gran bella bestia."

"Se è un sogno è un gran bel sogno."

"Però non facciamo come con il berretto. Questa volta le divisioni le facciamo meglio."

"Am am."

"Ci facciamo tante salsicce, tutte lunghe uguali. Ce ne verranno più di duecento. Quanto fa duecento salsicce diviso tre?"

"Le salsicce è sbagliato, quelle si fanno con il porco. Con la vacca si fanno le bistecche."

"Ci verranno duecento bistecche?"

"Anche di più."

"Facciamo duecento. Quanto fa duecento bistecche diviso tre?"

"Io i conti li so fare se ho le bistecche davanti. Così a mente non ci riesco."

Nascosto dietro un albero c'è un contadino che guarda i tre uomini bianchi che brigano intorno alla sua mucca. Il contadino, cioè il padrone della mucca, si stropiccica gli occhi due o tre volte perché non ci crede a questi uomini così bianchi e così magri. Ma che cosa hanno in mente di fare? E chi sono? Così magri e così bianchi. Da dove vengono? Il contadino si calca in testa il cappello e scappa via come il vento.

 

LE CORNA DEL DIAVOLO

 

Nella piazzetta del paese sono radunati i paesani. In mezzo a questi c'è il padrone della mucca e c'è anche il padrone del mulino con sua moglie. Poi c'è il prete con tre donnette. Il maniscalco con due garzoni. Meno il prete e le tre donnette sono tutti armati di forconi e bastoni. Il maniscalco invece ha una spada con la lama storta che gli hanno portato a raddrizzare. Il prete ha in mano un Crocefisso di ferro battuto che impugna come un martello tenendo Gesù con la testa all'ingiù. Le tre donnette borbottano qualcosa, forse pregano. Gli altri parlano tutti insieme e ogni tanto qualcuno si fa il segno della Croce.

"Li ho visti bene. Sono tre fantasmi tre anime dannate."

"Avevano le corna?"

"Sì, lunghe così."

"Allora sono tre diavoli dell'inferno."

"I diavoli sono neri e questi invece sono bianchi."

"Se hanno le corna sono diavoli. Anche i buoi ci sono quelli neri e quelli bianchi a seconda della razza."

"Ha ragione lui. Se fossero anime dannate non mi avrebbero rubato l'animale perché le anime non mangiano. I diavoli invece sono dei ladri famosi, portano le bestie all'inferno e le arrostiscono sulle fiamme."


Дата добавления: 2018-02-28; просмотров: 354; Мы поможем в написании вашей работы!

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