FRA GUIDONE ECCETERA ECCETERONE 6 страница



Millemosche lo vede e si rialza alla svelta e si tira su alla meglio le braghe adoperando sempre una mano sola. Poi fa un passo indietro prima di parlare, sia per rispetto che per paura.

"Ma cosa fai davanti alla mia tenda?"

"Niente, capitano. Era solo una finta. Volevo dimostrare che è meglio avere un braccio solo piuttosto che una gamba sola."

"Che cosa te lo fa dire?"

"Il fatto per esempio che uno può fare le sue necessità senza aiuto di nessuno."

Il capitano entra nella tenda con un passo malinconico, poi si siede sopra uno sgabello e ogni tanto si guarda il braccio sinistro e ci pensa sopra. A forza di pensare gli viene un'idea che lo mette in agitazione. Da degli ordini che portano una grande confusione nell'accampamento, ma subito la confusione prende una forma e i soldati si radunano davanti alla tenda. In mezzo ai soldati ci sono anche Millemosche Pannocchia e Carestìa.

Non lo sanno nemmeno loro perché si trovano là in mezzo ma, visto che tutti corrono a mettersi in colonna, anche loro si infilano in mezzo agli altri e si mettono in colonna.

Il primo soldato è già entrato nella tenda e ne è uscito subito con un volo a testa in avanti. Si alza da terra e va via sgangherato. E succede così anche per il secondo e per il terzo. A questo punto Millemosche e gli altri due cercano di uscire dalla colonna ma ci sono delle guardie armate che li ricacciano indietro.

"Noi siamo di passaggio. Non c'entriamo."

"Adesso ci siete e ci restate."

"Non sappiamo nemmeno che cosa sta succedendo."

"Lo saprete dopo."

"Dopo quando?"

"Nella tenda. Il capitano cerca un braccio destro."

"Per fare cosa?"

"Tutto."

I tre vorrebbero sapere delle altre cose. Per esempio se il capitano ha in mente di tagliarlo quando ha trovato il braccio che gli va bene oppure che cosa. Ma siccome è arrivato il turno di Carestìa, la guardia lo prende e lo spinge dentro la tenda. Si sentono subito degli urli e poi Carestìa vola fuori anche lui a testa in avanti. Millemosche fa un salto all'indietro cercando di scappare via ma le guardie lo prendono e lo infilano nella tenda.

In piedi davanti a lui al centro della tenda c'è il capitano. Gli fa segno con la mano sinistra di venire avanti ma Millemosche si sposta soltanto con la testa e il busto. I piedi sono inchiodati a terra. Il capitano lo guarda fisso negli occhi e lui chiude gli occhi.

"Noi ci siamo già visti da qualche parte."

"Sì, capitano, davanti alla tenda."

"Sai perché sei entrato qui?"

"Vagamente."

"Fammi vedere il tuo braccio destro."

Millemosche è talmente in confusione che non sa più quale è il braccio sinistro e quello destro. Incomincia a scoprire quello sbagliato ma si rende conto subito che il braccio destro è l'altro e allora lo scopre tutto fino alla spalla per mostrare più muscoli che può. Il capitano gli gira attorno poi gli prende il braccio con la mano sinistra e lo accartoccia come se fosse di mollica. Millemosche si lascia cascare a terra coprendosi gli occhi con le mani mentre il capitano lo colpisce con una scarica di calci e si arrabbia perché non scappa come sono scappati gli altri. Poi lo risolleva e lo sbatte da tutte le parti. Alla fine si siede sfinito sullo sgabello e guarda questo straccione testardo che sta rannicchiato ai suoi piedi ridotto una palla di dolore. Millemosche alza lentamente la testa.

"Uno che sopporta le botte come me non c'è nessuno."

"Sì ma il braccio è piccolo."

"Crescerà."

"Come fa a crescere?"

"Mangiando."

"Come ti chiami?"

"Millemosche Quisquiglia."

"Sai maneggiare la spada?"

"La spada la sciabola e la lancia. Sono cavaliere. So anche tirare le sassate."

"Bravo. Ti assumerò come mio braccio destro. Ti vanno bene due ducati al giorno?"

"Facciamo quattro."

"Guarda che assumo soltanto il tuo braccio destro. Con l'altro fai quello che vuoi."

"Ho due persone a carico, capitano."

"Tre ducati. Più non posso."

"Tre e mezzo."

"Più di tre no. Questo assedio mi costa un occhio della testa e il principe è in ritardo con i pagamenti."

Si mettono d'accordo per tre ducati al giorno. A questo punto il capitano chiama i suoi luogotenenti per l'investitura del suo nuovo braccio destro. Poi indossa il suo vestito da cerimonia. Millemosche si mette alle sue spalle e infila il braccio destro nella manica vuota. Due luogotenenti allacciano due cinture di cuoio intorno al capitano e a Millemosche in modo da farli diventare quasi un'unica persona. Però lo stanno legando troppo stretto.

"Soffoco."

"Ricordati che quando sei nelle tue funzioni di braccio destro non hai diritto alla parola, è come se tu non esistessi."

"Va bene, capitano."

"Stà zitto."

"Ho capito."

"Silenzio!"

Il capitano gli sferra un calcio all'indietro e questa volta Millemosche capisce che deve stare zitto con la bocca chiusa. E quando finalmente c'è silenzio, il capitano fa la sua dichiarazione con voce più solenne che può.

"Nomino il cavaliere Millemosche Quisquiglia mio braccio destro. Da questo momento il suo braccio mi seguirà nella buona e nella cattiva fortuna, in pace e in guerra. Mi difenderà dai nemici e dagli amici, mi servirà fedelmente sia di giorno che di notte anche per i piccoli bisogni del corpo."

Il capitano esce dalla tenda con Millemosche legato alle spalle. Lo seguono i luogotenenti. Lì fuori, al centro dell'accampamento, sono schierati i soldati. Il capitano li passa in rivista e ogni tanto si ferma e batte i piedi per terra in segno di autorità. Millemosche si prende qualche piccola iniziativa in appoggio al suo comandante. A un soldato che ha l'elmo storto gli da un colpo in testa per raddrizzarlo. A un altro che ha la pancia troppo in fuori gli da un pugno che lo fa piegare in due. A un altro da uno schiaffo perché ha i baffi. I soldati sono molto intimoriti dal nuovo braccio destro del capitano e man mano che si avvicina si tengono pronti a fare un passo indietro per evitare gli schiaffi e i pugni.

Alla fine della rassegna c'è la discussione fra il capitano e i suoi luogotenenti per mettere in chiaro alcuni fatti che sono già chiari ma non si sa mai.

"Bisognerà studiare il piano per un assalto in grande stile."

"Non vorrete conquistare il castello, capitano?"

"Siete matti? Se lo conquistiamo il principe ci licenzia. Possiamo tirare avanti l'assedio per un altro anno almeno. Dicevo soltanto che bisognerà."

Interrompe il discorso per seguire con gli occhi il braccio destro che sottolinea le sue parole con una mimica svolazzante, gran gesti in tondo e in largo a destra e a sinistra. Poi il braccio si ferma e si appoggia con la mano sul fianco del capitano in un atteggiamento di grande sicurezza.

"Dicevo che bisognerà studiare un assalto spettacolare nel caso che il principe venga a farci visita, tanto per dargli un po' di fumo negli occhi."

 

IL RE DI TUTTO IL MONDO

 

Pannocchia e Carestìa si sono messi a costruire una casa con i sassi buttati giù dagli assediati per difendersi dagli assalti. Prendono due sassi per volta e vanno piano piano a disporli uno sull'altro in una zona appartata alla periferia delle tende. Non gli hanno voluto dare una tenda, e loro si fanno su una casa con i muri il tetto e il resto. Buttano dello sterco fresco di cavallo nelle fessure e così le pietre si cementano tra loro e il muro diventa robustissimo. La calce fa ridere in confronto allo sterco fresco di cavallo. Anche quello di vacca è buono ma non è la stessa cosa.

Ogni tanto si fermano e vanno a guardare il lavoro da una certa distanza e così si rendono conto che il muro cresce sia per il dritto che per il traverso.

"Ho sentito dire che ci sono delle case con due piani, uno di sopra e uno di sotto."

"E io ho sentito dire che ci sono delle case con due porte, una per entrare e una per uscire."

"Sì, però le porte sono pericolose."

"Perché?"

"Perché dalle porte entrano i ladri. Già che ci facciamo una casa è meglio stare al sicuro."

"Ma di che cosa hai paura? Più ladri di noi non c'è nessuno."

"Hai ragione. Io se potessi ruberei tutto."

"Tutto secondo me è un po' troppo. Tra l'altro non sai più dove metterlo."

"Ti sbagli, perché io rubo anche la terra e le strade e le case con quello che c'è dentro e così lascio tutto dove sta perché tanto è tutto mio."

"Per stare tranquillo dovresti rubare tutto il mondo."

"E allora?"

"Dopo non sai più che cosa rubare."

"E allora?"

Già lavoravano da due o tre giorni e avevano visto Millemosche appena di sfuggita. Sapevano che lui ormai si era sistemato e questo a loro faceva anche piacere. Meglio due che se la passano male piuttosto che tre. E bisogna dire la verità, Millemosche adesso se la passava discretamente. Provava e riprovava varie maniche sia di panno sia di metallo e una anche di piastre d'argento. Tutte le maniche del vecchio braccio destro del capitano, che era più grosso e quattro dita più lungo, bisognava scorciarle e stringerle. Millemosche sedeva o stava in piedi e i sarti e i fabbri, quando si trattava di metalli, lavoravano "attorno al suo braccio senza nemmeno scambiare una parola con lui. Diciamolo pure francamente, lo trattavano come se non esistesse. Tanto è vero che ogni tanto Millemosche si addormentava dalla noia anche se era in piedi. Aveva imparato dal suo cavallo a dormire in piedi. Bisogna tenere le gambe larghe e stare col petto in avanti e il sedere indietro. Se non dormiva si metteva lì a guardare in faccia il sarto o il fabbro fintanto che questi non ne potevano più e dicevano adesso basta e lo facevano voltare da un'altra parte.

Una volta c'era un pidocchio che camminava sulla fronte del fabbro e piano piano arriva sul collo passando per l'orecchio, poi ricompare sulla mano e da qui spicca un salto e va a finire sulla mano di Millemosche. Qui il pidocchio si ferma e non ha il coraggio di infilarsi sotto la manica del capitano, si guarda intorno e con un altro salto ritorna sulla mano del sarto. Brutto segno. I giorni seguenti Millemosche aveva seguito i viaggi del pidocchio sul corpo del sarto ma non c'era verso di fare amicizia. Del resto ogni tanto guardava il suo braccio che cambiava maniche e gli sembrava che anche quello non fosse più amico suo. E infatti era diventato troppo importante e così faceva fatica a stare insieme agli stracci che coprivano le gambe e tutto il corpo.

Il braccio sinistro in confronto a quello destro faceva pietà. Millemosche aveva capito che ormai il braccio era più importante di lui. Prima veniva il braccio, poi tutto il resto. Dopo le prove delle maniche Millemosche girava in mezzo all'accampamento, metteva la testa per ogni dove e ogni tanto dava degli schiaffi ai soldati col braccio destro. Nessuno aveva la possibilità di ribellarsi e quando uno si aspettava uno schiaffo lui gli dava un pugno nella pancia.

Una mattina attraversa a piedi tutto l'accampamento per vedere dove si sono ficcati Pannocchia e Carestìa. Aveva il braccio destro coperto da una corazza d'argento. Passa la zona dei carriaggi, il quartiere degli orti tutti pieni di cavoli e finalmente trova i due amici che stanno lavorando alla casa.

"Che cosa state facendo?"

"Una casa."

"Chi vi ha dato il permesso di fare una casa?"

"Nessuno."

"Di chi sono i sassi?"

"Del nemico."

Allora Millemosche si mette a strafotterli e mostra il suo braccio d'argento che fino a quel momento aveva tenuto nascosto dietro la schiena. Carestìa e Pannocchia restano abbagliati, si specchiano nel metallo e restano impressionati a vedere le loro facce sporche che adesso sembrano pulite e lucide come il metallo dove si specchiano.

"Cavolo!"

"Cavolo cosa?"

"È d'argento."

"Sì."

"Ma allora perché non scappiamo?"

Il braccio colpisce con uno schiaffo Carestìa e subito dopo anche Pannocchia. Perfino Millemosche è sorpreso della sua violenza e cerca di tenerlo fermo con la mano sinistra e gli dice calma e non darti delle arie, stai fermo che sono amici. E allora il braccio va a posarsi tranquillo al sole su uno spuntone di roccia che viene fuori da terra. Carestìa e Pannocchia guardano con spavento questa cosa che luccica e abbaglia. Anche Millemosche la guarda malamente, come se non fosse roba sua. Carestìa si fa sotto a Millemosche con una faccia da fare paura.

"Vattene. Porta via quel braccio."

«Via dove?"

"Altrimenti buttalo in un fosso."

"Come faccio a buttarlo in un fosso?"

"Taglialo."

Come se avesse capito tutti quei discorsi, il braccio d'argento si alza e Millemosche si mette a inseguire i due amici in mezzo all'accampamento e mena botte dove capita, cioè sulla loro testa, mettiamo, e anche su quella degli altri soldati. Ma Millemosche sapeva benissimo che non era il braccio che faceva tutte queste cattiverie. Cercava di dare la colpa al braccio e invece era lui. Dava degli schiaffi per divertimento tanto per divertirsi.

 

TUTTE LE LORO DONNE

 

Non erano tutte rose fiorite. Un capitano compra un braccio e poi gli lascia fare quello che vuole lui, questo non è possibile. Dal terzo giorno in poi Millemosche è legato alla schiena del comandante e il suo braccio destro tiene in mano una spada pesante. Stanno esercitandosi in un duello e il capitano gli grida di spostare il braccio a destra e a sinistra, vuole che impari a duellare e ogni tanto gli da dei pugni in testa che gli fanno tremare il cervello. Dopo le esercitazioni si mangia, cioè mangia il capitano.

Il capitano è uno che mangia sempre. Si sveglia alle otto e mangia e mentre mangia ordina quello che vuole mangiare alle dieci e alle dieci decide quello che deve mangiare da lì a due ore. Sempre così fino a mezzanotte. E Millemosche deve adoperare bene il braccio destro per portare alla bocca le cosce di lepre o di oca o di montone. Deve staccare al momento giusto la carne dai denti del capitano. E spesso deve rimettere la carne nel piatto e grattargli la testa o mettergli un dito in un orecchio per sturarlo. Tutto a tempo, senza una parola, un avvertimento. E la cosa peggiore è un'altra. Vedere tutta quella roba nel piatto e non avere la possibilità di mettere in bocca nemmeno una carota. Niente. Grattare la pancia del capitano e sentirla crescere di giorno in giorno mentre la sua deve essere piatta per aderire meglio alla sua schiena senza dover allungare le cinture che li tengono legati insieme. Piano piano però qualcosa sfugge al controllo del capitano.

Millemosche incomincia a capire il lavoro che deve fare. Stare all'erta quando il capitano ha mangiato troppo o bevuto troppo e chiude o abbassa gli occhi per la fiacca o il sonno. Allora approfittare di quei momenti per muovere a suo piacere la mano e mettere un pezzo di carne nella sua bocca invece che in quella del capitano. Il quale resta a bocca aperta a aspettare e invece della carne gli arriva il dorso della mano che striscia sulle labbra unte per pulirgliele. I momenti migliori sono quando il capitano si addormenta dopo mangiato e allora la mano può cercare nei piatti e anche nelle tasche del giubbotto se c'è qualche ducato oppure grattarsi personalmente nel caso ce ne fosse il bisogno.

La sera finisce in sbadigli e così la mano destra copre la bocca aperta del comandante e poi gli stropiccia gli occhi come succede a chi ha sonno e cerca di stare sveglio. Per andare a letto il capitano slaccia i cinturoni e Millemosche casca a terra senza forze come se avesse perso la spina dorsale. Allora il capitano gli da due o tre calci per toglierselo dai piedi e Millemosche si trascina da qualche parte per dormire.

I primi giorni è una dura faccenda, come quella di un cane legato alla catena. Ma poi Millemosche riesce a ottenere un'ora di libertà dopo i pasti principali e così può girare per l'accampamento e scambiare qualche parola con qualcuno, specialmente con Pannocchia e Carestìa quando li trova. Ma loro non parlano più con lui per via del braccio destro. Allora Millemosche non lo veste più d'argento o di velluto, lo tiene alla buona come l'altro braccio. Tutto per fare la pace con Pannocchia e Carestìa che vanno avanti a costruire la casa senza neanche guardarlo. Lui sta seduto lì vicino mentre parlano di donne e muore dalla voglia di parlare anche lui con loro e invece niente.

 

COSTRUIRE LA CASA

 

Pannocchia e Carestìa a un certo punto sono rimasti con pochi sassi e allora vanno sotto le mura del castello a fare cagnara. Urlano contro le sentinelle nemiche che vi venga la lebbra e altri sacramenti e allora quelle si arrabbiano e gli buttano addosso una grandinata di sassi mentre loro si allontanano alla svelta. Dopo un po' vanno a raccogliere i sassi e ricominciano a tirare su i muri della casa. Millemosche si stufa di stare lì senza far niente. Una volta tenta anche di aiutarli col braccio sinistro perché con quello destro qualcuno potrebbe fargli la spia e dirlo al capitano, ma loro prendono i sassi che gli offre e li rimettono nello stesso posto dov'erano prima. E allora lui se ne va via da solo perché non trova più nessuno che parla con lui. Pannocchia e Carestìa invece parlano fra loro che è una bellezza.

"Ho sentito dire che ci vogliono anche le finestre."

"Io non le farei. Dalle finestre entrano i pipistrelli le civette le zanzare le cornacchie e le bisce."

"Le bisce entrano piuttosto dalla porta che dalla finestra."

"Infatti è per questo che non abbiamo fatto nemmeno la porta."

"La casa che facciamo noi deve somigliare a una prigione."

"La prigione è la più bella casa che ci sia. Tra l'altro quando sei in prigione ti passano sempre un pezzo di pane e un po' d'acqua tutti i giorni."

"Sì, però delle volte ti bastonano e ogni tanto ti impiccano."


Дата добавления: 2018-02-28; просмотров: 360; Мы поможем в написании вашей работы!

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