FRA GUIDONE ECCETERA ECCETERONE 5 страница



I tre frati vedono Pannocchia e gli altri due. Li riconoscono e si mettono a gridare e a corrergli dietro seguiti da tutti gli altri. Altro che porco, devono scappare. Dentro una porta su per una scala giù da una finestra. Finalmente si arrampicano sul tetto. Forse ce la fanno a mettersi in salvo, ma non è detto. Le tonache impicciano i movimenti, le tegole ballano sotto i piedi ma la paura gli dà il coraggio di aggrapparsi al ramo di un grosso albero che pende fuori dal muraglione di cinta. Da qui spiccano un gran salto e vanno a finire in mezzo alla boscaglia perdendosi fra i cespugli mentre i frati si mettono a suonare le campane e ogni colpo si sente che vorrebbe essere una bastonata.

 

UN PEZZO DI STOFFA DI FRATE

 

Con una tonaca da frate si può fare, volendo, un vestito da cristiano. Prima di tutto si stacca il cappuccio e gli si fanno due buchi nel fondo e nei buchi si infilano le gambe. Così uno si trova che ha già le braghe. Poi si staccano le maniche che diventano le due gambe delle braghe. In ultimo si taglia a metà la tonaca e si gira attorno alle spalle come un mantello. Con il pezzo di stoffa avanzato si può fare quello che si vuole, delle strisce da legarsi intorno alla pancia se uno soffre il freddo alla pancia, un cappello se uno soffre il freddo alla testa, oppure un copriorecchie se uno soffre il freddo alle orecchie. O se no niente. E allora uno può vendere questo pezzo di stoffa se trova chi lo compra, oppure regalarlo a un poveraccio che passa per la strada. Se non passa nessun poveraccio allora questo pezzo di stoffa avanzato uno non sa più che cosa farne. Però non si può buttare via, è di lana. Se mai uno fa finta di niente e lo perde mentre cammina per la strada. Ma deve. perderlo in modo che quando poi se ne accorge e ritorna indietro per cercarlo non lo trova più, altrimenti si ricomincia da capo questo pezzo di stoffa e la cosa può diventare noiosa. Forse farebbe meglio a seppellirlo ma deve stare attento a pareggiare bene il terreno in modo da non trovarlo più quando si pentirà di averlo seppellito. Perché è un peccato seppellire un pezzo di stoffa di lana. Se uno si trova vicino a un fiume o a un lago può anche buttarlo in acqua però deve saper nuotare, altrimenti quando si tuffa per andarlo a riprendere può affogare e, per quanto sia, sarebbe un peccato perdere la vita per un pezzo di stoffa di lana avanzato dalla tonaca di un frate.

Così Millemosche Pannocchia e Carestìa si tengono in mano il loro pezzo per uno e vanno avanti a mugugnare fra i denti perché non hanno il coraggio di buttarlo via. Magari potrebbero ridarlo indietro ai tre frati che hanno spogliato, ma ai frati è meglio starci lontano il più possibile dopo quello che è successo su al convento. Allora discutono un po' e alla fine decidono di comportarsi come se i tre pezzi di stoffa non esistessero e non fossero mai esistiti, di non parlarne più e di non sentirne più parlare.

 

NERO IL FALCONE

 

Ci sono dei falconi neri che dal basso di una valle salgono in cielo a perpendicolo e vanno a scontrarsi contro delle anatre di passaggio. Le anatre colpite scoppiano in una nuvola di penne e poi precipitano giù con tutto il loro peso come se fossero dei sassi o delle scarpe, nel caso che dei sassi o delle scarpe si trovassero a quella altezza e potessero avere le penne. A terra c'è qualcuno che raccoglie le anatre, nel mentre che tre cavalieri fanno ripartire altri falconi togliendo il coperchio dalle ceste dove sono dentro.

Millemosche Pannocchia e Carestìa stanno lì a guardare le anatre e i falconi. Si mangerebbero volentieri sia le une che gli altri. Ma ci sono i cavalieri e con quelli non si scherza, sono armati. Millemosche aguzza gli occhi sui falchi che adesso fanno larghi giri perché è finito il passaggio delle anatre e stanno cercando qualcosa come potrebbe essere una biscia uno scoiattolo o un altro animale selvatico come per esempio un cinghiale da cavargli gli occhi. Infatti si gettano a capofitto verso un punto preciso e Millemosche capisce subito che stanno arrivando su di loro e allora si butta a terra e si ammucchia con gli altri due per ripararsi dalle beccate. Si difendono alla disperata cacciando la testa nell'erba e proteggendosi gli occhi con le mani e le mani con le mani fino a quando arrivano dei cavalli e della gente che urla e fischia. Allora i falchi vanno a posarsi sui guantoni di cuoio dei tre cavalieri che guardano quei tre mucchi raggomitolati a terra e provano a dargli un calcio per vedere se si tratta di uomini o di animali.

"Perché fate finta di essere cinghiali?"

"Come facciamo finta se non sappiamo neanche che cosa sono i cinghiali?"

"Allora cambiate modo di vestire e di muovervi."

"Ma noi stiamo fermi."

"Allora cambiate modo di stare fermi."

"In che modo?"

"Perlomeno fate finta di essere uomini."

Il cavaliere che ha parlato e che è il più cattivo dei tre, sprona il cavallo giù verso la valle e gli altri due lo seguono reggendo sulle mani inguantate i falconi neri da combattimento. Millemosche Pannocchia e Carestìa si tirano su in piedi e si rimettono a camminare con i piedi.

 

IL CAVALLO IN TESTA

 

Dopo tre o quattro giorni di camminate senza incontrare anima viva, Millemosche si mette a pensare che sia Pannocchia sia Carestìa gli portano scalogna. E allora una mattina si sveglia prima degli altri e decide di scappare. Si avvia lungo il sentiero ai piedi della montagna di sabbia e zolfo dove si erano fermati a dormire e raggiunge alcuni massi coperti di ortica. Li oltrepassa e già si sente tranquillo e solitario.

Millemosche ha una sua idea in testa, ritornare a casa. Chissà perché non ci ha pensato prima. A casa c'è sua moglie e i suoi animali da cortile. Due capre sei galline e le api gialle e nere di Bacone. Quando sciamano[12] d'estate Bacone va a riprenderle battendo un sasso sulla padella o abbagliando la regina con uno specchietto. E allora gli sciami scendono e fanno una palla attorno a un ramo di fico e lui le riporta a casa. Adesso che Millemosche cammina da solo ricorda i discorsi di Bacone[13] sulle api, gli elenchi dei nemici e dei parassiti. Bacone gli diceva che i nemici principali sono quelli che mangiano le api e sono il toporagno[14] l'orso il tasso la faina la martora la donnola la lucertola il rospo e la rana. I parassiti invece rubano il miele e sono gli uomini il calabrone il pecchione[15] e le vespe. Poi c'è la tarma che rode la cera. Il nemico più terribile però è il topo campagnolo perché mangia le api, mangia il miele e mangia anche la cera. Bacone odiava il topo campagnolo più di qualsiasi altro animale al mondo e gli dava la caccia tutti i giorni dell'anno. E quando ne prendeva uno lo mangiava vivo infilandolo in una pagnotta al posto della mollica. Quattro o cinque topi di campagna li aveva mangiati anche Millemosche. Però arrostiti dalla Gioconda che era bravissima per i topi le bisce da acqua e le lucertole. Le lucertole si mangiano solo quando si è proprio affamati, cioè sempre.

Con tutti questi ricordi in testa Millemosche cammina lungo il sentiero per più di un'ora. Poi si siede per riposarsi un po' e si accorge che Carestìa e Pannocchia stanno dormendo a pochi passi da lui. Ma allora non ha camminato? Eppure ha i polpacci molto stanchi. Si vede che gira e rigira il sentiero lo ha riportato allo stesso punto di prima. E già che si trova sull'onda dei ricordi e della malinconia non fa nemmeno caso a quei due lì che dormono, prende un sasso a punta e si mette a disegnare qualcosa sulla crosta secca della collina. Prima disegna la coda poi le gambe di dietro poi la pancia e la schiena e in ultimo la testa e le gambe davanti. È un cavallo. Quando si risvegliano Pannocchia e Carestìa e si mettono a guardare questa cosa disegnata e prima che loro possano fare qualsiasi commento, Millemosche dice che il suo cavallo era proprio così, con la testa slanciata le gambe nervose la coda lunga. E mentre parla capisce perché aveva cercato di scappare. Un uomo che è stato lunghi anni con un cavallo non può intendersi con quelli che sono sempre andati a piedi. Tra un uomo qualsiasi e un cavaliere c'è la stessa differenza che c'è tra un gatto e un leone oppure tra una cornacchia e un'aquila per restare nel regno animale, o tra un fico e una quercia per andare nel regno vegetale. Un uomo a cavallo è come se fosse una bestia sola con la testa da uomo e le gambe e la coda da cavallo. Avere sentito sotto le gambe la sua schiena e la sua pancia e avere cavalcato con la criniera sbattuta in faccia e il suo odore nell'aria, tutto questo ti fa diventare un uomo diverso.

Millemosche è così convinto di quello che sta pensando che si mette a parlare del suo cavallo con Pannocchia e Carestìa che non se lo meritano. E incomincia dalla fine, cioè dalla morte del suo cavallo morto con il cimurro.[16] Poi parla anche dei cavalli in generale, dei pregi e dei difetti legati al colore del pelo e dice che il cavallo bianco non sopporta il sole e quello nero si sfianca sui terreni rocciosi, poi descrive e nomina a uno a uno i muscoli e le altre parti dell'animale dalle orecchie alla coda. Ma a questo punto si accorge che l'interesse a bocca aperta di Pannocchia e Carestìa viene da un altro tipo di interesse. Se lui dice il nome di un muscolo o parla della coscia lunga del cavallo, loro già vedono questa carne sulla brace e immaginano di mangiarla. Basta guardarli e si capisce subito la loro idea. E infatti d'improvviso non resistono più e incominciano a domandare quante bistecche si possono fare da una spalla di cavallo o dalla schiena o dalla pancia e allora Millemosche si alza in piedi e si rimette a camminare con questi due che vogliono fargli ripetere quali sono i muscoli e le parti principali del cavallo. Millemosche allora diventa tutto rosso in faccia e incomincia a saltare sui piedi.

"Vi ho detto che non permetterò mai che si mangi in mia presenza carne di cavallo."

"Ma chi è che la mangia? Noi immaginiamo di mangiarla e basta."

"Non dovete nemmeno immaginare di mangiarla."

"Io mi immagino quello che voglio."

"Fino a un certo punto e comunque non con i cavalli che racconto io."

"Io ho anche immaginato di essere Papa e nessuno mi ha detto niente."

"Quello anch'io."

"Allora vedi che abbiamo ragione?"

"No. Perché se uno immagina di diventare Papa non fa del male a nessuno. Se lo mangi è un'altra questione."

"Ma noi non abbiamo mangiato niente."

"Mentre io vi parlavo del mio cavallo in buona fede, me lo avete mangiato sotto gli occhi. Muscolo per muscolo."

Pannocchia e Carestìa non dicono niente. Stanno ancora masticando perché la carne di cavallo è un po' dura e alla fine si leccano le labbra voltandosi dall'altra parte per non farsi vedere da Millemosche. Il quale si allontana gridando e allora gli vanno dietro gridando anche loro.

 

MEGLIO DI GUERRA CHE DI FAME

 

Un mucchio di pietre rosse al sole insieme a una lucertola verde al sole anche lei sul mucchio di pietre rosse. Poi una mano magra e sporca. La lucertola si nasconde in una crepa. Adesso vengono fuori tre teste piene di capelli e sei occhi delusi perché la lucertola è scappata. C'è molta stanchezza in quelle facce e in quegli occhi e anche molta fame. Sono Millemosche Pannocchia e Carestìa. Davanti a loro c'è una valle con ciuffi di piante selvatiche e pietre rotolate chissà da dove e al centro un castello e intorno al castello una quantità di tende e soldati a piedi e a cavallo.

"Quelli sono mercenari che assediano un castello."

"E quello è un castello assediato dai mercenari."

"E io che cosa ho detto?"

"Non incominciamo con le discussioni, non ho voglia di discutere."

I tre guardano pensierosi il castello e l'accampamento sotto le mura. Ci sono anche delle oche e dei maiali che girano in mezzo alle tende e dei panni messi a .asciugare sulle siepi e sugli alberi e c'è anche fumo di fuochi accesi. Più volte, a turno, i tre sembrano sul punto di parlare ma poi o sbadigliano o lasciano una parola a metà e così niente. Finalmente Carestìa si decide e tira fuori dalla bocca un principio di discorso che però si ferma sul più bello.

"Mi viene in mente che quasi quasi."

"Che cosa?"

"Niente."

"No, volevi dire qualcosa."

"Volevo dire che quasi quasi, no niente."

"Avanti, che cosa ti era venuto in mente?"

Carestìa è così pentito e impaurito per quello che gli è passato per la testa che si alza e scappa via. Ma gli altri due gli corrono dietro e lo prendono per i piedi.

"Non ti lasciamo andare se non dici quello che volevi dire."

Carestìa cerca ancora di scappare ma questa volta i due lo tengono inchiodato a terra per le gambe e per le braccia. Adesso vediamo se parla. Allora Carestìa chiude gli occhi e parla tutto d'un fiato col fiato in gola.

"Volevo dire che quasi quasi mi rimetterei a fare il soldato mercenario. Almeno si mangia."

Pannocchia gli sputa in faccia e gli da un calcio e uno schiaffo. E siccome si accorge che Millemosche non si è arrabbiato e lo vede più o meno d'accordo con Carestìa, allora si allontana perché lui non vuole rimettersi a fare il soldato neanche morto. Va a sedersi una decina di passi più in là e sta a muso basso a grattare la terra.

Millemosche si alza in piedi senza dire niente, raggiunge le pietre rosse, torna a guardare l'accampamento con uno sguardo lungo e pieno di calcoli.

"Un assedio è comodo, magari va avanti degli anni. Si sta lì si mangia si beve e non si fa fatica. Basta non avvicinarsi troppo alle mura. Io ho già fatto un assedio una volta. È durato due anni, i più belli della mia vita. Avevo anche un cavallo, quello là che vi dicevo prima."

"Ho sentito dire che gli assediati ti tirano addosso l'olio bollente."

"Queste sono balle che non so chi le ha inventate. Io sono pratico e ti dico che l'olio costa caro e se ne trova poco al giorno d'oggi. Gli assediati se ce l'hanno stà tranquillo che se lo tengono da conto."

"Ma bisogna vedere se ci ingaggiano."

"Ci ingaggiano, ci ingaggiano. Dove li trovano tre come noi? Però non bisogna dire che abbiamo così fame. Se loro dicono avete fame, noi diciamo no, abbiamo appena mangiato un porco."

Alla parola porco Pannocchia salta in piedi e si avvicina a Millemosche e Carestìa. Li guarda con gli occhi lucidi e le labbra che gli tremano sulla bocca.

"Io non ci riesco a dire che ho mangiato un porco."

"Neanch'io."

"Allora voi state zitti che parlo io."

Millemosche si muove in direzione dell'accampamento ma poi si guarda indietro per vedere se gli altri due lo seguono. Carestìa fa due passi svelti e si mette al suo fianco. Pannocchia fa un passo avanti e due indietro poi uno di traverso poi due passi avanti e un altro di traverso e insomma va un po' da una parte e un po' dall'altra perché non sa neanche lui dove vuole andare.

 

IL BRACCIO MORTO

 

Inciampano nei sassi e nei cespugli un po' perché non li vedono e un po' perché alzano male le gambe specialmente dal ginocchio in giù. Arrivano vicino alle prime tende dell'accampamento e la cosa che li meraviglia di più è che non si vede nessuno. Dove sono i soldati? Ci sono soltanto delle oche e delle galline. Le seguono piano piano decisi a saltargli addosso ma si trovano faccia a faccia con una quarantina di soldati che camminano in silenzio dietro a un piccolo carretto tirato da un mulo.

Sul carretto c'è una cassettina di legno, nera lunga e stretta. Questo è un funerale. Infatti molti stanno piangendo. Millemosche e gli altri due scherzando scherzando si mettono a piangere anche loro. Ci sono mercenari grassi e magri, coperti di corazze rattoppate e ricucite con il filo di ferro. Parla Millemosche

"Di chi è il bambino?"

"Quale bambino?"

"Il bambino nella cassa, il morto."

"Non è morto nessun bambino."

"E allora chi c'è nella cassa?"

"Un braccio."

"E fate il funerale a un braccio?"

"È il braccio destro del nostro capitano. Glielo ha staccato un cavallo impazzito, con un morso."

Il carro che sta portando la piccola bara si ferma. Due soldati alzano la cassetta e la lasciano scivolare in una buca stretta di misura. Il capitano segue immagonito la sepoltura del suo braccio. È lui che lentamente smuove il mucchio di terra accanto alla buca e la fa cadere sulla bara con dei piccoli calci. I soldati lo guardano in silenzio. Poi si girano e se ne vanno lasciandolo solo con i suoi patemi.[17]

Millemosche Pannocchia e Carestìa si siedono in disparte e discutono di braccia e di gambe umane.

"È meglio perdere un braccio o una gamba?"

"Una gamba."

"E dopo come fai a camminare?"

"Uno invece di camminare sta seduto, è anche più comodo."

"Secondo me è meglio perdere un braccio. Noi siamo gente che dobbiamo scappare quasi sempre e per scappare le gambe servono moltissimo."

"Io insisto a dire che è meglio perdere una gamba piuttosto che perdere un braccio. Tanto per incominciare se perdi il braccio perdi anche la mano."

"Se perdi la gamba allora perdi anche il piede."

"Vuoi mettere la mano con il piede? Il piede serve solo per stare in piedi mentre con le mani puoi tirare il collo alle galline e ai cristiani, puoi dare i pugni e gli schiaffi, puoi tirarti su e giù le braghe. Se no devi farti aiutare da qualcuno tutte le volte."

"Con il piede puoi dare i calci. Le braghe si tirano su e giù benissimo anche con una mano sola."

"Non ci credo."

"Scommetto quello che vuoi."

"Che cosa ci scommettiamo?"

"La testa."

"Quale testa?"

"La nostra. Chi perde, perde la testa."

Millemosche allora si alza in piedi e, tenendo un braccio dietro la schiena, slaccia con l'altro le braghe, le abbassa, e resta qualche momento in mutande davanti al capitano che sta tornando in quel momento e si ferma su tutti e due i piedi.


Дата добавления: 2018-02-28; просмотров: 357; Мы поможем в написании вашей работы!

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