FRA GUIDONE ECCETERA ECCETERONE 7 страница



"Questo succede anche se cammini per la strada."

"Però per la strada puoi scappare."

"Abbiamo detto che non facciamo né porte né finestre. Come fanno a entrare?"

"Chi?"

"Quelli che ci vogliono bastonare. Io credo che non entrano."

"E se per caso entrano?"

"Noi scappiamo."

"Bravo merlo, e dove passiamo se non ci sono né porte né finestre?"

"È molto semplice, passiamo dove sono passati loro."

"Meno male, allora siamo salvi."

Ormai la casa è alta abbastanza. È ora di chiuderla. Pannocchia e Carestìa mettono dei pali di traverso da un muro all'altro e sui pali appoggiano un po' di tutto per fare il tetto. Lastre di pietra tavole di legno pezzi di corazze rotte. Una casa senza tetto non è neanche una casa, dice Pannocchia, come un uomo senza cappello, perché ci piove dentro.

Mentre lavorano là in cima a fare il tetto vedono da lontano nella pianura una nuvola di polvere e dentro la nuvola quattro o cinque cavalieri al galoppo.

Vengono a fermarsi proprio vicino alla casa di Pannocchia e Carestìa e li guardano curiosi alzando le celate. Il più importante dei cavalieri è il principe di Roccaprebalza famoso da tutte le parti. Ma Carestìa e Pannocchia fanno fatica a riconoscere un principe da un cavaliere qualsiasi. E non sanno che tutto dipende da lui, anche il capitano di ventura e anche i soldati i carriaggi[18] e tutte le tende del campo. E non sanno neppure che il principe è venuto a controllare l'andamento dell'assedio e che è furibondo perché il capitano e i suoi mercenari non sono ancora riusciti a conquistare il castello. Guardano il principe a tu per tu come se anche loro fossero a cavallo e infatti sono alla stessa altezza.

"Che cosa state facendo?"

"Una casa."

"Allora avete intenzione di stare qui molto tempo."

"Più che si può."

"E il castello quando pensate di conquistarlo?"

"A noi del castello non ce ne importa proprio un cavolo. Basta che ci buttano giù ancora un po' di sassi e magari delle tavole per coprire meglio il tetto."

"E che altri progetti avete?"

"Fare un orto e un pollaio per coltivare le galline e l'insalata."

"E poi?"

"Col tempo qualche albero di mele."

"È così che fate la guerra?"

"Questa è la guerra che preferiamo."

Il principe da un colpo di sprone[19] al cavallo e attraversa l'accampamento spaventando uomini e animali.

 

L'OCCHIO DEL PADRONE

 

Il principe di Roccaprebalza entra nella tenda del capitano e lo trova seduto a tavola che sta mangiando un'oca. Millemosche è legato alle sue spalle e adopera la mano destra con bravura. Il capitano, che ha l'occhio sempre attento alla porta, si alza in piedi di scatto tirandosi dietro anche Millemosche con la forchetta in mano, poi con la sinistra cerca di buttare a terra tutte le ossa e gli altri avanzi della mangiata. E intanto manda giù il boccone alla svelta mentre Millemosche da la mano al principe e il principe gli da la sua credendo di darla al capitano. Ma c'è qualcosa che non va e poi ci sono altre cose che non vanno.

"E quello chi è?"

"Nessuno."

"Come nessuno?"

"È il mio braccio destro. Ho perso il braccio in battaglia e ho pensato di sostituirlo."

"Quale battaglia?"

"Per la conquista del castello."

"Ma non lo avete conquistato."

"C'è mancato poco."

"Questo assedio va troppo per le lunghe, capitano. E intanto i vostri soldati si costruiscono case di pietra e coltivano l'insalata."

"Si tratta di un nuovo piano che ho inventato io."

"Quale piano?"

"Le case. Costringiamo il nemico a buttarci i sassi addosso e con quelli costruiamo un paese. Così alla fine della guerra voi avrete due paesi. Settecamini di Sopra, che sarebbe il castello con le case dentro le mura, e Settecamini di Sotto che è quello che stiamo costruendo."

"Non dite stupidaggini. I sassi sono sempre quelli. Se costruite Settecamini di Sotto vuol dire che Settecamini di Sopra scompare."

"Siccome dopo le case costruiremo anche le mura, alla fine ci troveremo dentro a un castello identico a quello che volevate conquistare."

"Ma io vi pago per prenderlo con le armi. Voi siete dei soldati mercenari, non dei muratori."

Millemosche si sbaglia e batte con il pugno sul tavolo sottolineando le frasi del principe invece di quelle del capitano, sbalordendo sia il principe che il capitano. Ormai che ha preso la spinta continua a battere con violenza e a un certo punto il capitano, incitato dal braccio che si muove a mulinello tagliando l'aria in modo minaccioso, dice che vuole rispetto per sé e per i suoi soldati e che lui non è un muratore ma un capitano di ventura coi fiocchi e che se ne infischia dei suoi soldi.

D'improvviso il braccio di Millemosche perde la testa e si abbatte con uno schiaffo violento sulla faccia del principe di Roccaprebalza che salta sui piedi e sguaina la spada. Il capitano si tira indietro subito.

"Non sono stato io."

"Come non siete stato voi? E chi è stato?"

"Il mio braccio destro."

"E allora vi ordino di punirlo."

"Giuro che lo punirò."

"In che modo?"

"Per dimostrarvi che sono un uomo d'onore metterò la mano destra sul fuoco di fronte a tutti i miei soldati."

A questo punto salta fuori la testa di Millemosche per dire che lui non è d'accordo. Ma nessuno lo sta a sentire. Il capitano esce dalla tenda tirandoselo dietro e incomincia a dare ordini sollevando un gran polverone fra i soldati e i cavalli. Tutto questo serve a gettare fumo, cioè polvere, negli occhi al principe e per dimostrargli che quando il capitano da un ordine l'accampamento si mette in moto come una macchina. Ma in mezzo a tutta questa confusione c'è qualcuno che trova un braciere e qualcun altro che vi accende dentro il fuoco e questa è una brutta notizia per Millemosche.

 

IL FUOCO SCOTTA

 

In mezzo a tutta questa polvere e a questa confusione gli unici a starsene tranquilli in disparte sono Pannocchia e Carestìa che finiscono di chiudere il tetto della loro casa. Sono in piedi su una traversa di legno e cercano di tappare l'ultimo buco dal di dentro con un pezzo di corazza. Quando hanno finito di inchiodarlo tra due travi, si trovano al buio e chiusi dentro la casa. Con un salto saltano a terra e vanno a rannicchiarsi in un angolo appoggiando la schiena al muro.

"Adesso se tira il vento o piove o fa la neve noi possiamo anche metterci a ridere."

"Speriamo che piova e che cadano i fulmini sulla testa di tutti quei vagabondi che non hanno una casa."

"Speriamo che venga anche il terremoto."

"E poi la grandine come sassate."

"E una bella inondazione."

"Qui siamo al riparo anche dalla peste."

"Sei sicuro?"

"Qui non entra neanche la fame che entra dappertutto."

Questo è lo sbaglio, di nominarla. Come la nomini arriva subito e ti salta addosso come una belva. Passa attraverso i muri, scavalca le montagne, viaggia di notte e di giorno sia con il caldo che con il freddo e la pioggia. Allora

Pannocchia e Carestìa fanno la pace con Millemosche e si mettono a chiamarlo con tutta la voce che hanno. Ma Millemosche in questo momento sta passando un brutto momento.

Il braciere è pronto in mezzo all'accampamento e le fiamme hanno consumato la legna riducendola in braci ardenti. Il principe di Roccaprebalza e tutti i soldati aspettano che il capitano metta la mano destra sul fuoco come aveva promesso di fare. Nel silenzio squillano le trombe. Il braccio destro però non ha nessuna voglia di alzarsi e resta teso lungo il fianco. Visto che da solo non si muove, il capitano lo afferra con la mano sinistra e cerca di metterlo sulle fiamme del braciere. Millemosche urla come un cane abbaia quando la ruota di un carro gli schiaccia la coda, anche se lui per dire la verità la coda non ce l'ha e non ce l'ha mai avuta. Da uno strappo violento per confondere il capitano, gli fa lo sgambetto, si rotola a terra con lui e finalmente riesce a svincolarsi dalle cinghie che lo tenevano legato e si mette a scappare fra le tende inseguito dai soldatagli. Raggiunge la casa di Pannocchia e Carestìa e sale sul tetto e dopo aver tolto alcuni sassi si lascia cadere nell'interno sulle spalle dei due amici che stanno aspettando al buio chissà che cosa e chissà chi sei?

Millemosche non ha nemmeno la voce per rispondere. Si aggrappa a loro e cerca di chiudergli la bocca con le mani perché tutt'attorno alla casa ci sono i soldati a piedi e a cavallo che lo stanno cercando. Si sentono le loro voci, gli ordini i richiami i sacramenti. Pannocchia e Carestìa sono lì con la bocca tappata da Millemosche e sanno benissimo che quelli di fuori se li trovano insieme li ammazzano tutti e tre. Allora è meglio stare con la bocca chiusa senza tirare il fiato e magari chiudere anche gli occhi e le orecchie e tutti gli altri buchi. E scappare appena si può scappare. Peccato proprio adesso che hanno una casa. Questo succede per colpa di Millemosche. Così, quando i soldati si allontanano per andarlo a cercare da un'altra parte, Pannocchia e Carestìa lo coprono di insulti e di scaracchi.

"Brutto assassino delinquente."

"Ci tieni prigionieri senza darci nemmeno un pezzo di pane e un po' d'acqua."

"Non sono io che vi tengo prigionieri."

"E allora chi è?"

"Quelli dell'accampamento."

"Anche tu sei uno di quelli."

"Adesso non lo sono più, sono scappato via."

"Via dove?"

"Con i miei amici Pannocchia e Carestìa."

"Non raccontare balle. Pannocchia e Carestìa siamo noi."

"E io sono Millemosche. Adesso siamo tutti e tre insieme un'altra volta."

"E allora che cosa facciamo?"

"Facciamo quello che abbiamo sempre fatto, scappiamo."

Millemosche si affaccia con la testa sul tetto a guardare che cosa sta succedendo fuori. E poi esce dal buco dove è entrato, seguito dagli altri due. Saltano a terra e si mettono a camminare gattoni tenendo gli occhi chiusi per non essere visti. Si sentono dei cavalli in arrivo, c'era da aspettarselo. Allora si infilano tutti e tre dentro una botte e chiudono il coperchio. Restano lì senza fiatare fino a quando i cavalli si sono allontanati.

Una botte è un bel posto per nascondersi ma non per viverci tutta la vita anche se la vita, in una situazione come questa, è meglio perderla che trovarla. Incominciano a discutere su quello che conviene fare e discutendo si agitano mi po' troppo così che la botte si mette a rotolare sul terreno in pendenza. Preso l'avvio, aumenta di velocità a vista d'occhio e fa dei gran balzi schiacciando sassi e ramaglie. Millemosche Pannocchia e Carestìa si riparano la testa con le mani e con le braccia perché i contraccolpi sono peggio dei pugni e dei calci.

La botte salta un fosso butta giù una siepe da uno scrollone a un albero facendo cadere a terra una pioggia di mele che si mettono a rotolare anche loro. Arriva a gran velocità ai piedi di una collina e per la spinta si mette a rotolare anche in salita e raggiunge il culmine, lo supera e riprende a scendere veloce lungo l'altro versante in direzione di un fiume. Finalmente fa un gran volo sopra un cespuglio di salici e con un tonfo va a cadere in acqua. Millemosche Pannocchia e Carestìa, tutti ammaccati e aggrovigliati sul fondo, adesso non parlano più perché credono di essere affogati e hanno perso la cognizione delle cose.

Fuori c'è un gran silenzio, solo qualche uccello ogni tanto e qualche cicala da lontano. Il fiume si muove tortuoso e lento in mezzo a montagne verdi e colline bianche come se andasse a fare una passeggiata.

 

OCCHIO PER IL MERLO NERO

 

Si può dormire benissimo dentro una botte accovacciati tutti e tre sul fondo, dondolati dalla corrente del fiume sul quale la botte sta navigando al tramonto portata dalla corrente e sospinta da un vento leggero. I tre che stanno dormendo sul fondo della botte che sta navigando sul fiume al tramonto portata dalla corrente e sospinta da un vento leggero sono Millemosche Pannocchia e Carestìa.

Arriva un merlo nero e si va a posare sull'orlo della botte facendo volare via quattro passeri una farfalla un ragno. Il ragno veramente non vola via ma si butta in acqua e cammina sull'acqua del fiume come Gesù sull'acqua del mare. Il merlo nero da quando ha assaggiato l'occhio umano non mangerebbe niente altro al mondo. Preferisce quelli azzurri, sono i migliori, più dolci e più teneri ma anche i più rari in queste regioni. O se no quelli neri o quelli neri neri. Sono un po' duri ma hanno molto sapore. Adesso guarda dentro la botte e non sa da dove incominciare, ha sei occhi lì davanti e questo significa una mangiata discreta, ma sono tutti chiusi. Finalmente prende la mira, salta dentro la botte e da una gran beccata. Si sente un urlo altissimo che rimbomba come dentro una campana e sale dritto verso il cielo. Il merlo nero vola via spaventato. Pannocchia e Carestìa si svegliano di soprassalto mentre Millemosche si porta una mano all'occhio beccato e con l'altro si mette a piangere grossi lucciconi e mille maledizioni.

"Chi è stato?"

"A fare cosa?"

"A cavarmi un occhio!"

"Io dormivo."

"Io anche."

"Che gli venga la lebbra fulminante a chi è stato!"

"Sarà stato un uccello."

"E allora che gli venga la lebbra all'uccello!"

"Con un occhio in meno non si muore."

"Se non muoio divento guercio."

"Meglio guercio che niente."

"Ma lo sai che un guercio vede tutto a metà? Se guardo una mela vedo solo mezza mela, se guardo una donna lo stesso, un porco lo stesso vedo solo mezzo porco."

"Pazienza. Vuoi dire che vedrai a metà anche un brigante che ti corre dietro, un lupo che ti vuole mangiare, un temporale con i lampi e i tuoni."

"Lo dite per consolarmi. Un uomo con un occhio di meno non è più un uomo intero."

"Ma guarda che l'occhio ce l'hai ancora. È un po' massacrato ma ce l'hai ancora."

Anche se il dolore è molto forte, Millemosche è contento di avercelo ancora il suo occhio. Lo apre con fatica e vede tutto rosso ma Carestìa lo consola dicendo che è meglio rosso che niente. Certo che bisogna stare attenti d'ora in avanti a non mettersi mai a dormire dove ci sono degli uccelli. Uno pensa sempre agli uccelli come una cosa da mangiare e invece succede all'incontrario, sono loro che ti mangiano o perlomeno ti mangiano un occhio. L'ideale sarebbe mettersi a dormire soltanto al chiuso, possibilmente dentro una casa o anche in un fienile. Mai sotto un albero perché sugli alberi ci sono gli uccelli. Ma qui non siamo sotto un albero.

"E allora dove siamo?"

"Nel Medioevo."

"Questo lo so. Io dicevo come posto."

"Sembra una botte."

"Se è una botte può darsi che sia piena di vino."

"Qui c'è il tappo. Se lo togliamo forse viene fuori il vino."

"Fammi pensare un momento: siccome noi siamo dentro la botte, allora come fa a venire fuori il vino? Al posto del vino ci siamo noi."

"Io dico che se noi siamo al posto del vino vuoi dire che il vino sarà al nostro posto e quindi è lo stesso."

"Non è lo stesso."

"Allora secondo te se togliamo il tappo veniamo fuori noi invece del vino? Lo capisci anche tu che non può essere così. Io dico che al di là del tappo c'è il vino."

"E com'è questo vino? Rosso o bianco? Io preferisco quello rosso."

"Se non ci decidiamo a togliere il tappo non lo sapremo mai, e magari finisce che se lo beve qualcun altro."

"Secondo me non viene fuori niente."

"Viene viene."

Millemosche deve spostarsi per liberare il tappo. Va a mettersi al posto di Carestìa e Carestìa al posto di Pannocchia. Adesso sul tappo ci sta seduto Pannocchia. Lo fanno alzare in piedi dentro la botte che traballa malamente. Millemosche mette un piede al posto della testa, la testa al posto del ginocchio, il ginocchio al posto della mano e la mano sul tappo. Prova a girarlo a tirarlo a dargli dei colpetti per smuoverlo. Il tappo è calcato forte e non si smuove. Invece salta via improvvisamente e arriva uno schizzo d'acqua che li bagna tutti e tre. Millemosche schiaccia il palmo della mano contro il buco altrimenti la botte si riempirebbe d'acqua in un momento, ma un po' si riempie lo stesso.

"È acqua, che vi venga la lebbra a tutti e due!"

"Rimetti subito il tappo se no andiamo a fondo."

"Non lo trovo più. Però ho trovato un pesce."

"Ma che pesce, è il mio piede."

Millemosche toglie il piede dell'altro e ci mette il suo calcagno che è il miglior calcagno del mondo, soprattutto per tappare i buchi.

 

LA PESTE ALLA FINESTRA

 

La botte procede sulla corrente in mezzo a una zona paludosa, poi fra boschi di pioppi alti alti, passa anche sotto a un ponte e poi in mezzo a un paese ma deve essere disabitato perché non si vede e non si sente anima viva. Millemosche Pannocchia e Carestìa gridano e chiamano a gran voce ma nessuno si affaccia come se fossero tutti scappati via oppure morti per la peste o per il colera. Finalmente vedono una finestra aperta e una vecchia affacciata, con la testa china come se li guardasse. La chiamano, ma la vecchia non si muove e non risponde. Pannocchia allora si mette i diti in bocca e fa un fischio fortissimo che trapàna l'aria. Niente. I tre si guardano in faccia e non hanno il coraggio di dire quello che pensano. Un branco di corvi gira alto sopra le case gracchiando e ogni tanto qualcuno piomba in basso e entra da una finestra. Che cosa va a fare? Sull'acqua galleggia qualche topo morto e qualche gatto morto. Un cane con la pancia gonfia e gli occhi di fuori. Una pecora. Millemosche Pannocchia e Carestìa restano qualche momento in silenzio, poi i loro pensieri vengono fuori tutti in una volta.


Дата добавления: 2018-02-28; просмотров: 338; Мы поможем в написании вашей работы!

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