FRA GUIDONE ECCETERA ECCETERONE 2 страница



Su tutto regna una natura aspra, totalmente estranea ai tre, ostile.

Una natura che è stata appena scalfita dall'opera dell'uomo. Non vi sono grandi città di cemento, non vi sono grandi navi, autostrade, non c'è, insomma, il segno dell'uomo ovunque. Il paesaggio è composto da boschi pieni di alberi, da fiumi puliti, da deserti in cui i rari uomini si agitano rincorrendosi l'un l'altro. Lo sfruttamento delle forze naturali era molto ridotto e l'uomo viveva in mezzo a queste forze, invece di lavorare per usarle secondo le proprie necessità.

 

La lingua

 

Quello che più colpisce nel libro, è l'espressione immediata e sintetica che rende perfettamente l'immagine descritta. Non vi sono parole difficili, perché tutto il linguaggio è adeguato al livello di coscienza dei tre e della società che li circonda. Anzi, il vocabolario sembra quasi volutamente povero, fatto di poche parole continuamente ripetute, perché povero è il mondo in cui si svolge la storia.

È la spontaneità del racconto che determina l'immediatezza narrativa.

Le frasi sono brevi, le costruzioni sintattiche assai semplici. Tutto ci ricorda da vicino gli impulsi elementari dell'uomo nella lotta per la sua sopravvivenza.

Gli autori si limitano a mostrare i gesti dei personaggi, le loro azioni e le loro intenzioni così come esse si vengono via via svolgendo. Non vi sono quindi complicati costrutti filosofici, perché gli stessi pensieri più profondi escono fuori come risposta a necessità materiali.

L'azione si svolge in continuo presente che immerge il lettore da subito nel corso degli avvenimenti. Non siamo dunque di fronte a una narrazione fredda e distaccata del tipo: "...Correva in quei giorni l'anno mille", ma proprio come al cinema, viviamo noi stessi le vicende di questi tre disgraziati.

L'esperienza cinematografica dei due autori è visibilissima nell'impostazione generale del libro, che conserva tutto il fascino dello spettacolo cinematografico, la velocità, la presa diretta sullo spettatore.

GAETANO SANSONE


 

Storie dell'anno mille

 

 

DUE UOMINI IN UN POZZO

 

 

La cornacchia aveva fatto un giro largo sul campo di battaglia, poi era andata a chiamare il branco quando gli uomini avevano finito di fare tutto quel trambusto. Molti si erano allontanati a piedi o a cavallo e quelli rimasti lì per terra erano immobili e silenziosi. Non ce n'era uno che muovesse un dito e anche quelli che avevano la bocca aperta o gli occhi aperti non parlavano e non vedevano niente. Adesso c'era un gran silenzio tutto intorno, una gran calma, si muoveva soltanto il fumo che saliva dai cespugli di sterpi secchi e dai carri incendiati. I carri bruciavano insieme ai cavalli e il fumo si attorcinava[1] nell'aria e poi si spandeva in una nuvola grigia e densa come quando sta per piovere. Poi era arrivato un merlo nero insieme a una gazza e si davano da fare tutti e due laggiù in mezzo a quella gente immobile e silenziosa. Arrivavano sempre per primi il merlo nero e la gazza, prima delle cornacchie e prima dei briganti che venivano a spogliare i morti.

Il merlo nero saltava intorno a beccare un occhio qua e un occhio là mentre la gazza andava in giro a cercare qualche anello di oro brillante ma non aveva trovato niente, cioè soltanto ferraglia, lance spade alabarde[2] e corazze ammaccate e coperte di polvere. Perché a quei tempi le battaglie si facevano con le lance le spade e le alabarde e le corazze. Infatti quei tempi erano il Medio Evo, quando le campagne erano abbandonate e non si faceva altro che combattere da tutte le parti e contro tutti e c'era una gran polvere in giro e se pioveva la polvere diventava fango e allora c'era un gran fango. E anche molta cenere a causa degli incendi perché gli uomini bruciavano spesso le case e qualche volta gli interi paesi. Bruciavano anche gli uomini, ma soprattutto le donne, le streghe. Era difficile che una cornacchia potesse assaggiare la carne di una strega perché quando il fuoco si spegneva la strega non c'era più, c'era soltanto la cenere. Del resto la carne di strega pare che sia molto dura. Molto meglio quella dei soldati morti di fresco. E infatti le cornacchie arrivano di corsa sul campo di battaglia ma adesso che sono arrivate non possono scendere perché succede questo fatto strano che si sentono delle voci che prima non si sentivano in mezzo a tutti questi uomini distesi nella polvere. Da dove vengono queste voci? Vengono dal pozzo. E insieme alle voci vengono dei rumori d'acqua pestata con i piedi e poi dei tonfi e poi ancora le voci che litigano a sangue fra di loro. A guardare bene là in fondo si possono vedere due ombre che si muovono e quattro occhi bianchi che galleggiano sull'acqua sporca. Una di queste ombre si chiama Pannocchia e l'altra Carestìa. Il loro problema è molto semplice, uscire dal pozzo.

Hanno deciso così: come prima mossa Pannocchia monta sulle spalle di Carestìa. Come seconda mossa Carestìa monta sulle spalle di Pannocchia. Come terza mossa Pannocchia monta di nuovo sulle spalle di Carestìa e si aggrappa finalmente all'orlo del pozzo che è molto profondo e cioè molto alto visto dal basso come lo vedono loro. Il progetto però deve essere difettoso perché ogni volta che incominciano la scalata, alla seconda mossa cascano in acqua tutti e due. E allora ricominciano da capo litigando e bestemmiando come due disertori.

"Lascia andare la mia gamba."

"Non posso."

"Almeno il piede."

"Guarda che il piede è mio."

"Come fa a essere tuo il piede se la gamba è mia?"

"Il piede è una cosa la gamba un'altra."

"Lascia andare il piede o ti do un calcio."

"Non puoi."

"Perché?"

"Perché al piede ci sto attaccato io."

"Ho anche un altro piede per darti un calcio. Eccolo qua."

"Guarda che questo piede è mio anche questo. Non puoi darmi un calcio con il mio piede."

"E allora sono capace di darti un calcio con il ginocchio."

Gli astronomi antichi si mettevano in fondo a un pozzo per guardare le stelle. Pannocchia e Carestìa però, per quanto siano abbastanza antichi anche loro, non sono andati nel pozzo per guardare le stelle. Si sono infilati là dentro per non fare la guerra e adesso che la battaglia è finita e vogliono uscire si accorgono che si sono messi in trappola con le loro proprie mani.

Si sente un tonfo. Ecco che sono ricascati.

"Di chi è stata l'idea di entrare qua dentro?"

"Era l'unico modo per salvare la vita."

"Che cosa ce ne facciamo della vita se non riusciamo a portarla fuori dal pozzo?"

"È sempre meglio di niente."

"Ci voleva una scala una corda qualcosa per uscire. Morti per morti allora era meglio morire in battaglia."

"Per me è lo stesso, io non ho preferenze sulla morte."

"Ti sbagli. Altro è morire in un letto con il materasso di lana e altro è morire annegato. Oppure scorticato infilzato bruciato strozzato scannato sbudellato. Oppure di fame di sete di febbre di lebbra[3] che ti venga la lebbra."

 

IL CAVALLO NON SI TOCCA

 

Lì vicino al pozzo c'è un albero di leccio[4] pieno di foglie una attaccata all'altra. Ci sono anche i rami naturalmente e il tronco nudo con la corteccia nera. In cima all'albero in mezzo al fogliame c'è qualcosa che si muove, ma non è un qualsiasi qualcosa. Allora sarà un uccello. Nemmeno quello. Forse è il fogliame stesso che si muove per il vento. Non c'è vento. È qualcosa che fa un rumore di ferraglia, cioè una pesante corazza di ferro che sta precipitando a terra e dentro la corazza c'è un uomo con la sua testa il suo corpo e tutto il resto. Anche lui si è tenuto alla larga dalla battaglia e adesso si rialza da terra aiutandosi con la terra, si guarda attorno e si stropiccia gli occhi per capire se tutti quei morti sono veramente morti e se lui è veramente vivo. Lui, cioè Millemosche. Intanto un morto è muto come un pesce e lui prova a gridare e ci riesce benissimo. Allora è vivo, meno male. Grida ancora, non si sa mai. Questa volta qualcuno gli risponde da sottoterra, cioè dal pozzo.

"Invece di gridare buttaci una corda!"

"Chi siete?"

"Amici."

"Amici di chi?"

"Amici tuoi."

"Che cosa fate lì dentro?"

"Affoghiamo. Buttaci una corda!"

"E dove la prendo?"

"Dove c'è un pozzo c'è anche una corda e allora tu la prendi e la butti giù."

Millemosche si guarda attorno e la corda non la vede perché ci sta sopra con i piedi. Allora si allontana di qualche passo, la vede la raccoglie e la butta nel pozzo per un capo senza accorgersi che l'altro capo gli si è annodato a un piede. Così quando Pannocchia e Carestìa si attaccano per salire succede questo, che la corazza casca dentro al pozzo con dentro Millemosche facendo uno sfrigolio di scintille contro i muri e poi un gran tonfo nell'acqua e poi un urlo disperato. E le maledizioni degli altri due.

"Invece di buttare la corda è venuto giù lui, che ti venga la lebbra!"

"Che cosa sei venuto giù a fare? Torna indietro che sarà meglio."

Millemosche ha la bocca piena d'acqua e anche il naso e le orecchie sono piene d'acqua di fango e di rane. Respira l'acqua fin dentro i polmoni e poi la ributta fuori con uno sternuto insieme al fango e alle rane. Pannocchia e Carestìa lo rimettono in piedi contro il muro, poi Pannocchia gli si arrampica sulle spalle. Come seconda mossa Carestìa si arrampica sulle spalle di Pannocchia e arriva all'imboccatura del pozzo. Basta. Riesce a tirarsi fuori e dopo di lui tira fuori anche Pannocchia e poi Millemosche con la sua corazza.

Adesso che sono lì con i piedi piantati sulla terra si guardano in faccia tutti e tre. Millemosche si accorge subito che Pannocchia e Carestìa sono dei nemici. Anche Pannocchia e Carestìa si accorgono che Millemosche è un nemico ma è troppo tardi perché ha già tirato fuori la spada e gliela punta contro la pancia.

"Se siete d'accordo vi faccio prigionieri e se non siete d'accordo vi sbudello."

"Ma chi ha vinto la battaglia?"

"Come faccio a saperlo? Con questa corazza addosso non ho visto niente."

"Lo sai che c'è l'obbligo di mantenerli i prigionieri? Vediamo che cosa ci dai da mangiare."

Allora il discorso è un altro perché Millemosche è più affamato di loro. Per fortuna lì a due passi c'è un cavallo ferito e quasi morto, con la bocca aperta e gli occhi pieni di mosche. A parte le mosche e gli occhi, Pannocchia dice che ci vengono quaranta bistecche e Carestìa dice che ce ne vengono anche cento se si tagliano un po' più sottili. Millemosche invece si inginocchia vicino alla bestia e si mette a parlargli nelle orecchie.

"Dai alzati. Se fai tanto a alzarti, dopo cammini come prima. Vedrai che con me ti trovi bene, sono un cavaliere, mi chiamo Millemosche. Su non fare la commedia, alzati e vieni via con me."

"Ma non vedi che è quasi morto? Facciamoci delle bistecche."

"Io sono cavaliere e non vi permetterò mai di mangiare carne di cavallo."

"Allora le mangiamo solo noi che non siamo cavalieri."

"Il cavallo non si tocca."

"Fammi assaggiare almeno un orecchio."

"Se tagli un orecchio al cavallo io taglio un orecchio a te."

"Almeno la coda. Quella non se ne accorge nemmeno, sta là dietro."

"Assassini. Che cosa dite se vi taglio la coda a voi, brutti animali? La coda è la sua bellezza."

Pannocchia e Carestìa si sono messi lì a quattro zampe con la lingua di fuori. Non è neanche simpatico questo cavallo, sono bestie che guardano dall'alto in basso l'uomo che va a piedi e se possono lo mettono sotto. Quando passa lui per la strada bisogna farsi da parte per lasciarlo passare. E meno male che non hanno le corna. Però hanno gli zoccoli per dare i calci. Sono buoni da mangiare e basta, come carne non c'è niente da dire. Carestìa fa un salto e si attacca alla coda cercando di strapparne almeno un pezzo. Fa appena in tempo a torcerla due o tre volte che Millemosche gli arriva addosso con la spada in mano e degli urli da fare spavento anche alle cornacchie che stanno girando li intorno insieme al merlo nero a beccare un occhio di qua e un occhio di là. Con un tipo così è meglio starci lontano e infatti si vanno a cacciare di corsa nella boscaglia.

Pannocchia prende un sentiero a destra e Carestìa un sentiero a sinistra. Tanto per confondere Millemosche che però è più furbo di tutti e due e prende il sentiero di mezzo. Ha sempre sentito dire infatti che la furbizia sta nel giusto mezzo.

Nella boscaglia i tre sentieri vanno ognuno per suo conto, cioè fanno dei gran giri e spesso prendono la strada più lunga muovendosi in mezzo ai cespugli con delle curve molto larghe come se avessero tempo da perdere. E alla fine si affacciano, uno qua e l'altro là, a guardare dalla cima di una collina un bosco di betulle senza più nemmeno una betulla cioè tutto pelato e coperto di terra secca. I tre sentieri scendono giù fino al centro del bosco e qui fanno la pace, si riuniscono e diventano una strada unica che cammina lungo la valletta. E così sono costretti a fare anche i nostri straccioni perché lasciandosi trascinare dai piedi e i piedi dai sentieri finiscono per ritrovarsi uno dietro l'altro nell'unica strada e continuano a camminare in fila indiana come gli indiani.

Millemosche è davanti, gli altri due lo seguono. Dopo un po' Millemosche si gira arrabbiato verso Pannocchia che gli va dietro passo passo.

"Perché mi vieni dietro passo passo?"

"Io non vengo ma vado."

"E dove vai?"

"Vado per la mia strada."

"Chi ha detto che è tua?"

"Allora facciamo un po' per uno. Metà e metà."

Carestìa che cammina un po' più indietro a testa bassa e con le orecchie aperte, ha sentito che Millemosche e Pannocchia si stanno dividendo qualcosa a metà e allora corre avanti e prende Millemosche per una manica perché vuole anche lui la sua parte.

"E a me niente?"

"Tu che c'entri?"

"Io c'entro tanto come voi. O ci vogliamo mettere a litigare?"

"Io sono un cavaliere e non mi metto a litigare con due straccioni come voi."

"E allora io dico questo: facciamo finta di essere amici e dividiamo tutto in parti uguali."

"Tutto tutto?"

"Tutto."

"Anche la roba da mangiare tipo galline oche formaggio e altri animali?"

"E dov'è tutta questa roba?"

"Può darsi che la troviamo strada facendo."

"Allora la dividiamo."

"Se troviamo un porco dividiamo anche il porco?"

"Anche un bue, se troviamo un bue."

"Meglio il porco, ha la carne più saporita."

"Un po' troppo dolce."

"Come si vede che non lo hai mai mangiato. Il porco ha la carne salata."

Intanto si dividono la strada a metà per uno, tutti e tre. Pannocchia e Carestìa adesso sono contenti come delle pasque. Millemosche invece fa una gran fatica a camminare con tutta quella ferraglia addosso, così incomincia a togliersi qualche pezzo di corazza e a buttarlo sulla strada: il pettorale l'elmo uno stinco un gambale un altro stinco e un altro gambale.[5] A forza di buttar via è rimasto con il giubbotto di maglia di ferro. Passa vicino a un cespuglio e un filo si aggancia a uno spino. La maglia incomincia a disfarsi mentre Millemosche cammina. Quando se ne accorge il giubbotto non c'è più, c'è un filo che serpeggia nella polvere e si raggomitola fino a diventare una palla. Quando il giubbotto di maglia di ferro diventa una palla, il soldato che lo portava diventa uno qualsiasi cioè non è più un soldato. Millemosche adesso non è più un soldato, è uno qualsiasi come qualsiasi altro.

 

LE CASTAGNOLE D'ORO

 

Non si sa chi dei tre ha visto per primo le -castagnole di sterco di cavallo. Belle e compatte sulla polvere della strada e nelle piazzole e lungo i fossi di confine dove i cavalli vanno a spiluccare l'erba. Su quella strada si vede che sono passati anche dei somari, pecore cani capre gatti randagi e altri animali. Vicino ai campi di battaglia invece si trova soltanto una poltiglia spruzzata in tutte le direzioni da cavalli e uomini sbandati e impauriti. Ma dai campi di battaglia è meglio starci lontani per tante ragioni.

Il primo a raccogliere lo sterco è Millemosche.

"Lo sterco è oro. Con lo sterco si può avere di tutto: frumento patate riso cavolfiori insalata finocchi orzo granoturco cipolle aglio rape carote zucche e fiori di tutti i tipi e di tutti i colori."

"Le zucche va bene ma con i fiori che cosa se ne fanno?"

"Li guardano."

"E dopo?"

"Dopo niente. Sono contenti di guardarli e basta."

"Certa gente non la capisco. Con la fame che e è in giro, uno si mette lì e guarda i fiori."

Quando le tasche sono piene di sterco si tolgono i pantaloni e riempiono anche quelli come dei sacchi dopo avere legato con uno spago il fondo della gamba. Poi riempiono i camiciotti e le maglie di lana e i cappelli. Sono sicuri che troveranno da vendere tutta questa roba. Ma vale più quello di pecora o quello di cavallo? Forse hanno fatto male a mescolarlo. E poi si vende a peso o a ginocchio? Torna conto a venderlo? Perché non coltivare da soli la terra e far crescere dei cavoli giganti o frumento o zucche o anche insalata? E dopo magari incominciare a vendere queste ortaglie e mettere da parte i soldi e con i soldi chiamare dei muratori e fargli tirare su una grande muraglia attorno agli orti e una volta costruita la muraglia per tenere lontani i ladri, costruirci dentro delle case. Tre case, una per uno. Millemosche dice che è meglio un piazzo perché adesso sono ricchi e così vanno avanti a discutere sulla costruzione di questa muraglia e di questo palazzo.


Дата добавления: 2018-02-28; просмотров: 347; Мы поможем в написании вашей работы!

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