II. L’uso del modo CONDIZIONALE



INTRODUZIONE

 

 

     Avendo rispetto alle circostanze che sono state stabilite nel periodo dell’Unione Sovietica,quando la lingua italiana non si studiava ufficialmente in Ucraina , per il momento esiste una piccola quantità dei lavori dedicati al modo condizionale (I.Glivenko, A.A.Karulin,V.Cerdanzeva,G.G.Lebedeva, Mavrov). Ecco perche ho deciso studiare uno dei temi meno studiati d’italiano.

L’atenzione fondamentale nel lavoro è concentrata sull’analisi delle particolarità sintattiche e semantiche - funzionari del modo condizionale,come in lingua scritta, cosi in parlata.

L’attualità del tema è specificata dalla necessità di mostrare le particolarità e nuove tendenze d’uso del condizionale nella lingua dei giornalisti, cioè nei articoli di giornale, nella lingua dei libri,e nella quella parlata. Dunque,l’analisi complessa delle proposizioni e costrutti condizionali, diventa indispensabile per la comprensione piu approfondito del carattere dei processi di evoluzione in italiano moderno.

Lo scopo di questo lavoro è mostrare la formazione del condizionale semplice e composto, l’uso dei tempi del condizionale, le particolarità sintattiche e semantiche-funzionari, l’uso del condizionale nel periodo ipotetico, la semantica del costrutto condizionale e la concordanza mista dei tempi l’indicativo, congiuntivo e condizionale.

Il lavoro è composto d’introduzione , tre parti principali e riassunto. L’elènco della letteratura usata si compone di 43 denominaziòni dei lavori di autòri nazionali e stranieri. L’entità generale del lavoro è 72 pagine.

Nel introduzione viene motivata la scelta del tema, la sua attualità, vengono determinati gli scòpi e i compiti del lavoro .

La prima parte introduttiva è dedicata al definizione del tempo e del modo come le categorie grammaticale.       

La seconda parte è dedicata al uso del condizionale semplice e condizionale composto.

La terza parte è dedicata al periodo ipotetico, alla semantica del costrutto condizionale e alla concordanza dei tempi e dei modi.

Nel riassunto principale vengono dedotti i resultati teoretici e practici delle ricèrche complèsse eseguite.

I. L’oggetto delle ricerche: I tempi del modo condizionale

a) Cosa é il modo ? :

 

Il verbo possiede un organico e complesso sistema di forme per esprimere le ca­tegorie del modo e del tempo.  Il parlante può presentare il fatto espresso dal verbo in diversi modi, ciascuno dei quali indica un diverso punto di vista, un diverso atteggiamento psicologico, un diverso rapporto comunicativo con chi ascolta: certezza, possibilità, desiderio, comando ecc.

Talvolta, poi, l'uso di un determinato modo può dipendere anche da ragioni stili­stiche, da una scelta di "registro" o di livello linguistico: così, per esempio, nelle subordinate rette da verbi di giudizio l'indicativo (mi pare che ha ragione) corri­sponde a un livello d'espressione più popolare rispetto al congiuntivo (mi pare che abbia ragione).

In italiano disponiamo di sette modi verbali:

 

• quattro modi finiti: indicativo (io amo)

                                congiuntivo (che io am i)                                

                               condizionale (io amerei)

                                imperativo (ama!)

• tre modi indefiniti: infinito (amare)

                                 participio (amante)

                                  gerundio (amando)

 

Mentre i modi finiti determinano il tempo, la persona e il numero, i modi in­definiti non determinano la persona e, tranne il participio, il numero.

L'infinito, il participio e il gerundio sono anche detti "forme nominali del ver­bo", perché vengono usati spesso in funzione eli sostantivo e di aggettivo: abbia­mo già citato il participio presente amante, cui si può aggiungere il participio passato la (donna) amata; e si pensi ancora a infiniti quali l'essere, il dare i l'avere, l'imbrunire, o a gerundi diventati nomi, quali laureando e reverendo.

Modi finiti:

L'indicativo è il modo della realtà, della certezza, della constatazione e dell'esposizione obiettiva, o presentata come tale:

me ne vado (sicuramente).

II congiuntivo è il modo della possibilità, del desiderio o del timore, dell'opinione soggettiva o del dubbio, del verosimile o dell'irreale; viene usato generalmente in proposizioni dipendenti da verbi che esprimono incertezza, giudizio personale, partecipazione affettiva:

sembra che se ne vada        

                                       (ma non é certo)

preferisco che se ne vada

 

Anche il condizionale indica fatti, azioni, modi di essere in cui prevale l'aspetto di eventualità, subordinata a una condizione (di qui il nome):

me ne andrei (se potessi).

 L'imperativo, infine, è il modo del comando, dell'invito, dell'esortazio­ne, dell'ammonimento, dell'invocazione:

vattene! (è un ordine, un consiglio ecc.)

 

Modi indefiniti:

L'infinito indica genericamente l'azione espressa dal verbo senza determinazioni di persona e di numero:

studiare, leggere, partire.

Il participio può svolgere sia la funzione di verbo sia quella di aggettìvo (inoltre, al pari degli aggettivi, assume anche valore di sostantivo). Il participio presente determina solo il numero, mentre il participio passato determina sia il numero sia il genere:

facente, facenti; vedente, vedenti; insegnante, insegnanti;

preso, presa, presi, prese; nato, nata, nati, nate; candidato, candidata,

candidati, candidate.

 

A differenza di quanto accade per i modi finiti, il participio non segnala la persona.

II gerundio indica un fatto che si svolge in rapporto a un altro, espres­so nella proposizione reggente da un verbo di modo finito:

sbagliando s'impara; l'ho incontrato tornando a casa, discutevamo pas­seggiando.                                                                                                 

 

b) Cosa é il tempo ? :

II tempo indica qual è il rapporto cronologico che intercorre tra l'azione o lo stato espressi dal verbo e il momento in cui viene proferito l'enunciato.

È opportuno distinguere tra tempo fisico e tempo linguistico(o grammatica­le): il tempo fisico si riferisce alla percezione che ciascun individuo ha del fluire del tempo nella realtà, ed è misurabile quantitativamente. Il tempo grammaticale è costituito invece da un sistema di relazioni temporali che permettono dj colloca­re l'azione prima, durante o dopo il momento in cui viene proferita la frase e dì indicare l'ordine di successione dei due avvenimenti.

Per esprimere il tempo linguistico il parlante ha a disposizione, oltre al siste­ma dei tempi verbali, gli avverbi e le locuzioni avverbiali di tempo (prima, dopo, fra sette mesi, per due anni). La non corrispondenza tra tempo fisico e tempo lin­guistico è evidente nei casi in cui un tempo grammaticale passato esprime un evento che nella realtà si svolge nel futuro:

saranno necessarie almeno dodici ore per sapere chi ha vinto le elezioni.

 

Il rapporto cronologico tra lo stato o l'azione espressi dal verbo e il momento in cui viene proferito l'enunciato può essere di:

 contemporaneità, quando il fatto avviene nel momento in cui si parla: 

Daniele canta

 anteriorità, quando il fatto avviene in un momento anteriore a quello in cui si parla: Daniele cantava (ha cantato, canto);

 posteriorità: quando il fatto avviene in un momento posteriore a quel­lo in cui si parla: Daniele canterà.

 

II tempo che esprime la contemporaneità è il presente; il tempo che esprime l'anteriorità è il passato, variamente articolato nell'indicativo (imperfetto, passato prossimo e remoto, trapassato prossimo e remoto) e nel congiuntivo ( imperfetto, passato, trapassato); il tempo che esprime la posteriorità è il futuro, suddiviso nell'indicativo in futuro semplice e futuro anteriore.

Sotto l'aspetto formale i tempi si distinguono in semplici, quando le forme verbali di cui sono costituiti consìstono in una sola parola (amo, temevo, anivò,partirà), e in composti, quando le forme verbali risultano dall'unione del participio passato del verbo con una voce dell'ausiliare essere o avere (ho amato, avevo temuto, fu arrivato, sarà partito).

 

Per comprendere meglio il significato delle relazioni temporali possiamo visualiz­zare graficamente la collocazione di un avvenimento lungo l'asse del tempo, rap­presentato da una linea retta. Per far ciò occorre fare riferimento a due nozioni fondamentali: :

 

• il momento dell'enunciazione (= ME), cioè il momento in cui si verifica l'atto di parola;

• il momento dell'avvenimento (= MA), cioè il momento in cui ha avuto luogo l'evento oggetto dell'atto di parola.

 

Per interpretare il passato remoto, il passato prossimo, l'imperfetto e il futuro dell'indicativo è sufficiente questo elementare riferimento al fluire del tempo fisico. Il trapassato prossimo, il trapassato remoto e il futuro anteriore, vice­versa, non sono ancorati direttamente al tempo fisico, ma sono collegati ad esso indirettamente, attraverso un'indicazione relativa di anteriorità o poste­riorità rispetto ad un evento espresso da un tempo semplice (dopo che ebbe appreso la notizia svenne) o da un'altra determinazione temporale (alle 8 aveva già cenato). Per rappresentare graficamente i tempi composti dobbiamo pertanto introdurre un terzo parametro, denominato momento di riferimento (= MR). Esso può essere costituito da un avverbio di tempo o da un'altra determi­nazione temporale (alle cinque, l'anno scorso, quando sono uscito ecc.):

Tempi dell’indicativo:

L'indicativo è l'unico modo verbale che abbia specificati nei suoi vari tempi

- semplici (presente, imperfetto, passato remoto, futuro) e composti (passa­to prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto, futuro anteriore) – i tre fondamentali punti di riferimento cronologici in cui un fatto avviene: l'ante­riorità, nelle sue molteplici articolazioni (imperfetto, passato prossimo, passato re­moto, trapassato prossimo, trapassato remoto); la contemporaneità (presente); la posteriorità (futuro semplice e futuro anteriore).

Il presente. Indica il fatto, l'azione, il modo di essere che si svolgono o

sussistono nel momento stesso in cui si parla:

faccio una passeggiata.   

Si usa spesso il presente per esprimere la consuetudine, l'iterazione, hi regolarità con cui si veri/icario determinati fatti:

il rapido per Napoli parte alle diciassette; vedo Luigi tutti i giorni;

 o per indicare un'attitudine del soggetto: Franco parla il tedesco; Giulio ripara le antenne;

in questi casi il tempo presente indica che il soggetto possiede una determinata capacità ed è in grado di esercitarla quando occorre, ma non necessariamente che egli stia esercitando tale capacità al momento dell'enunciazione.

Inoltre il presente, in quanto "non-passato" e "non-futuro", è in grado di signi­ficare ciò che si avvera sempre, le verità atemporali:

la luna gira intorno alla terra; la rosa è un fiore;

il presente atemporale, particolarmente usato nelle definizioni scientifiche, non è sostituibile con altri tempi o modi:

 due più due faceva / sta facendo / farebbe quattro;

e non è compatibile con avverbi temporali del tipo prima, dopo, non sempre, la Luna gira intorno alla Terra, ma non sempre.

Nei proverbi e negli aforismi il presente vuole indicare appunto la perenne vali­dità di quanto viene affermato:

chi dorme non piglia pesci; il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Il presente storico è un passato in forma di presente, è quasi un modo per far rivi­vere il passato nel presente; serve a conferire maggiore efficacia alla narrazione dei fatti, ad attualizzarli:

Leopardi nasce a Recanati nel 1798; Cesare da l'ordine di avanzare.

 

L'imperfetto Esprime la durata o la ripetizione nel passato:

la pioggia cadeva ininterrottamente da due giorni; venivano a trovarci quasi tutte le settimane.

 

Dal punto di vista aspettuale l'imperfetto indica un'azione incompiuta nel passato; per questo motivo, di norma, un verbo all'imperfetto non è sufficiente a conferire alla frase senso compiuto. Se dico: ieri tornavo a casa la frase rimane come sospesa e il mio interlocutore si aspetta un'integrazione, per esempio: ieri tornavo a casa quando ho incontrato Gianni.

Nelle narrazioni, l'imperfetto costituisce il tempo della descrizione per eccellenza. Esso si presta infatti a rappresentare scene statiche, in cui tutti gli elementi sono collocati sul medesimo piano temporale:

La stazione era deserta. Carla indossava un soprabito scuro. L'orologio segna­va le venti e trenta,

La stessa scena, resa con i verbi al passato remoto, da piuttosto l'idea di un susse­guirsi poco coerente di frasi:

La stazione fu desena. Carla indossò un soprabito scuro. L'orologio segnò le venti e trenta.

Questa differenza è messa a frutto quando si esercita, a qualsiasi livello, l'arte del raccontare: l'imperfetto descrive luoghi e personaggi o delinea stati di cose, men­tre i tempi perfettivi (il passato remoto o il presente storico) sono necessari per dare il via alla storia, per riferire in modo ordinato il susseguirsi degli avvenimen­ti. Lo si può facilmente verificare analizzando l'inizio di una fiaba:

C'era una volta a Palermo un certo Don Giovanni Misiranti, che a mezzo­giorno si sognava il pranzo e alla sera la cena, e di notte se li sognava tutti e due. Un giorno, con la fame che gli allungava le budella, uscì fuori porta. (da Fiabe italiane raccolte e trascritte da Italo Calvino, Milano, A. Mondadori).

Quanto detto non vale nei casi in cui l'imperfetto assume valori aspettuali proprì del passato remoto, come avviene con il cosiddetto imperfetto narrativo, caratteristico, oltre che della lingua letteraria, dei resoconti giornalistici:

Nel ribollire della disamistade cadevano le elezioni regionali del 51; i candi­dati democristiani disertavano la piazza, la frequentavano invece i comunisti (L. Sciascia, Le parrocchie di Regalpetrd);

allo scoccare della mezzanotte l'assassino entrava di soppiatto in casa delle vittime;

al ventisettesimo minuto della ripresa il centravanti raccoglieva un abile invito del numero 10 e metteva in rete.

Talvolta l'imperfetto può assumere valori modali diversi da quelli propri dell'indi­cativo. Si distingue in particolare:

1. un imperfetto ipotetico:

facevi meglio a stare zitto; potevano anche dircelo prima.

Quest'uso è comune soprattutto nel parlato; in una varietà più formale di lingua troviamo invece il condizionale passato {facevi = avresti fatto; pote­vano = avrebbero potuto);

2. un imperfetto irreale: si ha ogniqualvolta il tempo verbale serve a sottolineare un distacco dalla realtà e la creazione di un universo fittizio. È tipico delle narrazioni di sogni o della trama di un'opera letteraria:

poi entravo in un'enorme sala a specchi: dopo alcuni secondi le pareti inizia­vano a muoversi verso di me...

e nel cosiddetto imperfetto Indico, comune nelle affabulazioni dei bambini: Allora, facciamo che io ero il papa e tu la mamma;

3. un imperfetto attenuativo, a cui si ricorre in particolare con il verbo volere e sinonimi, per conferire un tono di cortesia o di attenuazione del valore iussivo di una richiesta; si immagini il seguente dialogo tra un salu­miere e una cliente, in cui chiaramente i due imperfetti non hanno valore temporale:

- Cosa desiderava signora?

- Mah, volevo due etti di prosciutto.

Nel secondo caso l'imperfetto può essere adeguatamente sostituito dal condizio­nale presente.

 

Il passate prossimo. Questo tempo composto, formato dal presente di un au­siliare (essere o avere) e dal participio passato del verbo, esprime un fatto com­piuto nel passato, ma che ha una qualche relazione col presente, o perché l'even­to descritto perdura nel presente:

due giorni fa ho preso una brutta influenza (e ancora ne soffro);o perché perdurano gli effetti dell'evento descritto:

Marco è nato il 21 settembre del 1943;

ho imparato l'inglese durante un soggiorno di studio negli Stati Uniti;

 

per quanto riguarda il primo esempio è significativo il fatto che si usi il passato prossimo per indicare la nascita di un personaggio ancora vivente, ma sia d'obbli­go il passato remoto per indicare il dato biografico di un defunto:

Manzoni nacque nel 1785.

Anche senza l'accompagnamento di avverbi o di locuzioni avverbiali, il passato prossimo può equivalere in qualche caso a un futuro anteriore, presentando il fat­to come compiuto nel futuro:

un ultimo sforzo e ho finito (= avrò finito).

 

II passato remoto. Indica un'azione conclusa nel passato, prescindendo dal suo svolgimento e dai suoi eventuali rapporti col presente. Si noti la differenza tra:

1. Mora via scrisse Gli indifferenti dal 1925 al 1928;

2. Moravia scriveva Gli indifferenti tra il 1925 e il 1928;

3. Moravia ha scritto Gli indifferenti.

 

Nella frase 1 il passato remoto scrisse mette in rilievo l'aprirsi e il chiudersi dell'azione, il suo inizio e la sua fine. Nella frase 2 l'imperfetto scriveva sottolinea lo svolgimento dell'azione entro i limiti temporali indicati. Nella frase 3 il passato prossimo ha scrìtto esprime insieme la compiutezza dell'azione e la sua "attualità": Moravia è autore di questo libro, questo libro esiste, possiamo leggerlo.

Nella lingua contemporanea il passato remoto viene spesso sostituito dal passato prossimo: l'anno scorso sono andato a Venezia. Particolarmente nel parlato, il prevalere del passato prossimo rispetto al passato remoto si giustifica con l'esi­genza di avvicinare i fatti al momento della narrazione, con ragioni cioè di imme­diatezza espressiva. Si noti che questo uso del passato prossimo al posto del pas­sato remoto, ora sempre più generalizzato, è tipico dell'Italia settentrionale; nel meridione si ricorre invece al passato remoto anche riferendosi a fatti avvenuti in un tempo vicinissimo al presente: arrivai un quarto d'ora fa.

Il trapassato prossimo e il trapassato remoto. Il trapassato prossimo(o piuccheperfetto), formato dall'imperfetto di un ausiliare (essere o avere) e dal participio passato del verbo, indica un fatto del passato, anteriore a un altro fatto pure del passato:

mi ero appena addormentato, quando bussarono alla porta.

Il trapassato prossimo può assumere valori modali diversi da quelli propri dell'in­dicativo:

 

1. trapassato prossimo ipotetico, usato colloquialmente nell'apodosi del periodo ipotetico, in luogo del condizionale passato.

se non mi fossi ammalato a quest'ora avevo già terminato gli esami;

2. trapassato prossimo attenuativo:

Buongiorno, ero venuto per chiederle una cortesia.

Questi valori modali, che ricalcano in parte quelli dell'imperfetto, sono dovuti con ogni probabilità all'influsso dell'ausiliare del trapassato prossimo, coniugato all'im­perfetto indicativo.

 

Il trapassato remoto, formato dal passato remoto di un ausiliare (essere o avere) e dal participio passato del verbo, indica un fatto anteriore al passato remoto. Il trapassato remoto ha un uso più limitato del trapassato prossimo; infatti, mentre questo si può incontrare sia nelle proposizioni principali sia nelle proposizioni su­bordinate, il trapassato remoto oggi si trova solo nelle proposizioni temporali in­trodotte da quando, dopo che, non appena, appena (che):

non appena se ne fu andato, vennero a cercarlo.

II futuro semplice e il futuro anteriore. Il futuro semplice indica un fat­to che deve ancora verificarsi o giungere a compimento:

arriverò domani; terminerò il lavoro entro una settimana.

 Il futuro semplice può assumere valore di imperativo:

farete esattamente come vi ho detto; imparerai questa poesia a memoria.

Il futuro anteriore, formato dal futuro semplice di un ausiliare (essere o avere) e dal participio passato del verbo, indica un evento futuro, anteriore a un altro pure del futuro; è quindi una sorta di "passato nel futuro":

quando lo avrai visto, te ne renderai conto.

Sia il futuro semplice sia il futuro anteriore possono indicare un dubbio, una sup­posizione o una deduzione del parlante:

hanno bussato alla porta, sarà Marco;

 a occhio e croce questa pizza peserà due etti;

quando è iniziato lo spettacolo saranno state le nove;

in questo caso il futuro ha valore modale, non temporale, come si evince dal fatto che i verbi degli esempi riportati non esprimono posteriorità.

 

 

Tempi del congiuntivo:

I tempi del congiuntivo sono quattro: presente, imperfetto, passato, trapassato.

II congiuntivo viene usato soprattutto nelle proposizioni dipendenti. In quelle indi­pendenti - nelle quali il congiuntivo può esprimere volontà, dubbio, concessione - i due tempi semplici (presente e imperfetto) si usano con riferimento al presente:

dica

            pure cio che vuole

dicesse

 

I due tempi composti (passato e trapassato) si usano invece con riferimento al passato:

 

           sia

che                    gia partito?              

         fosse

Per la scelta del tempo nelle proposizioni dipendenti, si veda il capitolo della sin­tassi.

Tempi del condizionale:

 

II condizionale ha due tempi: uno semplice, il presente, e uno composto, il passato. Col presente si indica l'eventualità nel presente, col passato l'eventualità nel passato:

vorrei

                   rivederti

avrei voluto

 

Tempi dell’imperativo:

L'imperativo ha due tempi, il presente e il futuro:

esci subito di quii; farai quello che dico io!

 

L'imperativo manca della prima persona singolare.

Tutte le voci dell'imperativo sia presente sia futuro coincidono con quelle del presente e del futuro di altri modi; solo i verbi appartenenti alla prima coniuga­zione hanno la seconda persona singolare dell'imperativo presente che non può essere confusa con la seconda persona di nessun altro tempo: studia, mangia, parla.

Nella forma negativa, la seconda persona singolare dell'imperativo presente si esprime con l'infinito presente preceduto dalla negazione non:

non cantare, non correre, non partire.

Tempi dell’infinito:

 

I tempi dell'infinito sono due: uno semplice, il presente (andare, vedere, finire): e uno composto, il passato (essere andato, aver visto, aver finito).

L'infinito si usa soprattutto in frasi subordinate: il presente indica un rapporto di contemporaneità o di posteriorità rispetto al tempo del verbo della reggente; il passato indica un rapporto di anteriorità:

dice

           di conoscerlo, di volerlo conoscere

diceva.

dice                            

                             di averlo conosciuto.

diceva

 

Preceduto dalla negazione non, l'infinito presente può acquistare il valore di im­perativo:

non farlo!; non dire sciocchezzel; non ridere.

Ha lo stesso valore, anche senza la negazione, in avvisi, cartelli, insegne:

tenere la destra; moderare la velocità; gettare i rifiuti nel cestino.

 Spesso l'infinito presente svolge la funzione di sostantivo:

 tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare

e si pensi a infiniti come dovere, piacere, avere, trasformatisi in sostantivi forniti anche di plurale: il dovere/i doveri; il piacere/i piaceri; l'avere/gli averi.

Tempi del participio:

II participio ha due tempi: il presente e il passato.

Come gli aggettivi in -e, il participio presente ha una forma per il maschile e il femminile singolare {amante, vincente, partente) e una per il maschile e il femminile plurale (amanti, vincenti, partenti). È usato sempre più raramente nel suo valore verbale; participi quali ardente, splendente, avvincente, arrogante, sor­rìdente o quali studente, cantante, insegnante, emigrante, dirigente sono oggi sentiti soltanto come aggettivi e sostantivi.

Il participio passato si comporta come gli aggettivi in -o: lodato, lodata, lodati, lodate. Si usa insieme con gli ausiliari essere e avere nelle forme composte della coniugazione verbale: sono andato, hai visto, è preso.

Ha spesso funzione di aggettivo o di sostantivo:

uno stimato professionista, il candidato eletto; l'imputato, i vinti, uno sconosciuto.

Ilparticipio passato ha valore attivo con i verbi intransitivi:

partiti di mattina, arrivarono a notte fonda (paniti = essendo partiti, sebbene fossero partiti);

ha invece valore passivo con i verbi transitivi:

non mi piace la minestra riscaldata (riscaldata = che è stata riscaldata).

Tempi del gerundio:

II gerundio ha due tempi: il presente (cantando, leggendo, udendo) e il passato (avendo cantato, avendo letto, avendo udito).

Il gerundio presente trova impiego in proposizioni subordinate, dette ap­punto gerundive:

 discutevamo camminando,

dove camminando è una gerundiva con valore temporale (= mentre camminava­mo).

Contribuisce a formare le perifrasi verbali andare + gerundio e stare + gerundio, che esprimono un'azione progressiva e durativa, considerata cioè nel suo progre­dire e nella sua durata:

il tempo va migliorando, sto studiando.

Molti gerundi presenti hanno subito un processo di nominalizzazione: laureando, reverendo e, nel linguaggio musicale, crescendo, diminuendo.

Il gerundio passato non è molto usato; in genere viene sostituito con frasi espli­cite: si dice è stato promosso perché ha studiato piuttosto che avendo studiato è stato promosso.

 

II. L’uso del modo CONDIZIONALE

 

Il condizionale présenta l'azione o il modo di essere come eventuali-ipotetici; e cioè come realizzabili, nel présente o nel passato, ma subordinatamente a determinati condizioni o condizionamenti che possono essere espressi o sottintesi. Tali condizioni o condizionamenti sono per lo piu indipendenti dalla volontà di chi parla o scrive (ne sia o no egli il soggetto grammaticale) e possono risultare: o già ben definiti ed esistenti o supponibili oppure suggeriti da opportunità di adattamento comportamentale a specifici aspetti situazionali. Sul genere di potenzialità di tali presupposti (sintatticamente: protasi), chi parla o scrive valuta il grado di probabilità di realizzazione dei fatti che ne dovrebbero conseguire (sintatticamente: apodosi),e, nell'esprimerli, mediante il condizionale manifesta (o tradisce) l'atteggiamento mentale o psicologico del consapevole distacco o del sospeso possibilismo o della cauta esitazione.

Per esemplificare: apodosi: Vorrei parlarle (protasi: se ha un po' di tempo). - Ci verrei anchio (se non ti disturbo). - Fumerei volentieri qualche sigaretta ogni tanto (ma qui è proibito). - Carlo si starebbe per laureare (se è vero quel che si dice). - lo (se fossi stato al tuo posto) non gli avrei dato retta. - Sarebbe venuto allé cinque (mancano ancora due ore //oppure: ormai è mutile aspettarlo). - Sarei partito ieri // domani (ma non ho trovato posto in aereo).

Sia al présente che al passato, il condizionale può esprimere l'atteggiamento di prudente presa di distanza (condizionale di distanziamento) di chi narra fatti e fa anche intendere di non avere diretta o comunque piena conoscenza; o magari di non volere essere in nessun modo coinvolto. E' questa la tipica modalità di chi, anche per professione, come il giornalista, è costretto a interessarsi di vicende di particolare delicatezza e responsabilità:

- Carlo Rossi sarebbe stato messo in prigione. (come a dire: se è vera la notizia che ho sentito, Carlo Rossi...)

- Seconde l'accusa (...) la maggior parte delle apparecchiature sarebbero state residuati di guerra (...). (in 'La nazione', 5-9-1976).

- Ayrton Senna sembrerebbe escluso dal prossimo campionato (...). II condi­zionale è d'obbligo perché in realta la attuale azione potrebbe ancora mutare (...). (C. Marincovich, in la 'Repubblica' [sport], 11-2-1992) (qui l'autore stesso, giustifica l'uso del condizionale come segnale di opportune atteggiamento prudenziale).

L'idea di intenzionalità, di disponibilità legata al condizionale consente che il tempo passato serva a esprimere il rapporte di posteriorità dei fatti narrati rispetto a un punto di riferimento collocato nel passato (futuro del [nel] passato):

- (Carlo dice che finirà entro un'ora [= che ha intenzione di finire...]) -«Carlo disse che avrebbe finito entro un'ora. (= che aveva intenzione di finire...)

- Certe volte (...) ho pensato che Sciarmano sia stato il primo a sapere che io sarei nata (...). (M. Di Lascia, Passaggio in ombra').

- (...), mi dicevo che presto Io avrei riavuto tutto per me (...). (M. Di Lascia, cit.).

In questi casi, specie (ma non solo) nei registri linguistici meno sorvegliati, si puo usare, in alternativa, L’indicativo imperfetto :

- Carlo disse che finiva (= avrebbe finito) entro un'ora.

Nel seguente esempio, per il futuro nel passato, si noti l'uso del condizionale passato e dell'imperfetto nei due segmenti di una frase temporale scissa per enfasi:

- (...) a quel punto gli chiedeva quando sarebbe stato che la mamma la mandava a conoscere la nipote. (M. Di Lascia, cit.)

 

Per la stessa idea di intenzionalità, il condizionale passato puo anche espri­mere fatti desiderati o progettati per il reale

futuro ma dei quali già nel présente si conosce la irrealizzabilità essendo nota lacondizione impediente. Ne risulta dunque un periodo ipotetico délla irrealtà che ha l'apodosi collocata nel passato:

- So che domani vai a Roma. Ci sarei venuto anch'io, ma ho da fare (oppure: se non avessi da fare).

- Una volta nella nostra cappella tenevano messe anche per il pubblico. Quest'anno no. Saresti venuto, vero? (G. Arpino, 'La suora giovane').

Anche in questi casi è possibile l'uso alternativo dell'indicativo imperfetto :

- A Roma domani ci venivo anch'io se non avessi da fare(Moravia).

E' forse utile tornare a riflettere un po' su quel génère particolare di condizionamenti come "suggeriti da opportunità o nécessita di adattamento comportamentale a specifici aspetti situazionali", che, pur non esplicitati, ciascuno di noi intuisce, avere, cogliere, e in base ai quali (riluttante o no) regola il proprio modo di comportarsi. Tali aspetti variano col variare a) delle situazioni (più formali, meno formali, non formali), b) della funzione comunicativa (narrativa, espressiva, conativa, imperativa ...) o c) (forse più spesso) degli interlocutori (e in base al loro ruolo sociale, all'età, al sesso, al loro contingente stato urnorale, allé loro azioni e reazioni). Sono tipi vari di condizionamenti che, dettati in génère dal desiderio o comunque dalla nécessita di stabilire armonia di rapporti, non solo comunicativi, determinano le nostre scelte (o stratégie) di comportamento, e dunque anche linguistiche.

E' cosi che si può spiegare, ad esempio, una frase come la seguente formulata da chi desiderasse far conoscere la propria casa a qualcuno: "Questa sarebbe la mia casa". Come 'sarebbe'? E' o non è? E', naturalmente, ma rapporte di cortesia suggerisce che la brusca referenzialità dell'indicativo si attenui nel senso di conciliante garbatezza del condizionale. Mediante il quale il parlante sembra quasi subordinare la vérità di quanto afferma al punto di vista, all'approvazione o disapprovazione del suo interlocutore: che rappresenta un condizionamento non trascurabile.

Situazioni comunicative analoghe, soprattutto parlate, ricorrono con assoluta quotidianità. E il condizionale vi appare lo strumento pragmatico , tipico di un rapporte che predilige i modi délla conciliante offerta o richiesta di disponibilità, della garbata proposta, délla discreta esitazione, délla valutazione rispettosa e misurata, délla distaccata ironia, della domanda aperta e possibilista.

Le espressioni qui di seguito proposte come esempio potrebbero avère la condizione o il condizionamento espressi o sottintesi (come suggeriti dalla situazione in se). Noi abbiamo preferito questa seconda soluzione, ritenendola la più ricorrente nella realtà comunicativa. In parentesi accenneremo comunque a qualche esempio, e non sempre con l'esplicitante 'se'. Non di rado verra fatto di notare che i significati potrebbero variare col variare del tipo di situazione:

• semplice potenzialità nel présente o nel passato: In casi come questo, qualcuno parlerebbe (avrebbe parlato) di tradimento.

• aperta offerta di disponibilità: Pagherei chissà che per un bicchier d'acqua. (Ma ho paura che sarà difficile averlo) Qui il passato suonerebbe come un rammarico: Avrei pagato chissà che (...).

• richiesta gentile (con verbo di 'volontà'): Vorrei un caffe. - Preferirei rimanere sola. (Se non vi dispiace)

In casi come questo, soprattutto con i verbi 'volere' e 'desiderare', il richiedente potrebbe anche usare l'imperfetto attenuativo' . E cio, in particolare, come risposta a una richiesta fatta con l'imperfetto della medesima modalità da parte dell'interlocutore; il quale, per altro, non potrebbe usare il condizionale, che (si veda più sotto) suonerebbe come provocazione: "Che desidera (voleva, desiderava)" "Volevo (vorrei, desideravo), un caffe."

 

Qui il passato suonerebbe come rinuncia o rimprovero: Avrei voluto un caffe

(esempio: ma ho fatto bene a non.../ ma tu...)

• richiesta resa più conciliante e gentile dalla forma interrogativa: Mi daresti (potrei avère) un bicchier d'acqua?

Qui il passato suonerebbe come richiesta di informazione.

• gentile invito, e rifiuto gentilmente esitante: "Ci verresti (vieni) al cinéma con noi?" "Ma io, veramente, avrei da studiare."

Qui il passato suonerebbe come gentile richiesta di informazione con relativa gentile risposta.

• manifestazione di un desiderio (che potrebbe anche nascondere una richie­sta): Verrai (tanto) volentieri a Roma con te. (Se non temessi di disturbarti) -Adesso si che mi fumerei una bella sigaretta! (Non hai mica da offrirmela?)

• domanda per conforma: Sarebbe quello tuo genero? - Questo sarebbe il libro di cui mi parlavi? (Se non mi sbaglio questo potrebbe essere...)

Talvolta anche con qualche moto di meraviglia o incrédulità o ammirazione o invidia: Sarebbe questa la tua Lucia? - Quel piccolino li parlerebbe già cinque lingue?

• presentazione di qualcuno o qualcosa in tono discreto e sommesso (usando 'essere'): Questa sarebbe la mia biblioteca. (Anche se piuttosto modesta)

• sommesso intervento del parlante (per consiglio, proposta o altro gentil­mente sollecitato dall'interlocutore), anche introdotto da un verbo corrispondente: Oddio, io qualcosa in testa ce l'avrei pure. (N. Boni, in 'La stampa', 8-8-1988) - "Tu che dici (pensi, consigli, suggerisci // diresti, penseresti, consiglieresti, suggeriresti) di fare stasera?" "Io direi (penserei, consiglierei, suggerirei) di fare una partitina a poker". (Se posso, io direi...).

Qui il passato suonerebbe come ripensamento su qualcosa che forse avrebbe potuto o dovuto essere fatto.

• opinione in tono attenuate (di chi, spesso anche il verbo 'dovere', mostra molta fiducia sulla probabilità di realizzazione):

Una soluzione salomonica che dovrebbe mettere a tacere tutte le polemiche (...). (in 'il Giornale', 27-10-1995)

• opinione garbatamente a contrario: "Gli scalatori di alta montagna sono degli sconsiderati perché mettono a repentaglio la loro vita. Lei, dottore, che ne pensa?" "Ma io, veramente, non sarei cosi severo in proposito."

• presa di distanza ironicamente tagliente in forma di domanda: Un ipotetico professore a un ipotetico interrogato: "E tu avresti studiato?" (come a dire: "Checché tu insista a dire, non hai studiato proprio.") - "E quello sarebbe un bravo medico?" (si potrebbe dire di un medico che immeritatamente gode di buona fama)

• domanda in tono di incredulità o di risentimento per impedire o disapprovare fatti o progetti dell'interlocutore o di altri; o anche per provocare l'interlocutore stesso: Che farebbe tuo fratello stasera!? Uscirebbe?! (Come a dire: "Se ha un'intenzione del génère, se la tolga dalla testa.") - Tu esporresti un tale monumento in luogo pubblico? (l. Silone, Il segreto di Luca) - "Come sarebbe a dire?!" chiese il commissario sbarrando gli occhi. (P. Chiara, I giovedi della signora Giulia').

La stessa domanda al passato, puo anche servire a smentire un fatto o a difendersi da qualche accusa: Anna: "E' stato Carlo a dire che Luigi...." Carlo: Che cosa avrei detto io?".

 

 

III. IL periodo IPOTETICO

 

Le frasi ipotetiche

 

Le frasi ipotetiche (cioè le proposizioni subordinate introdotte nella gran parte dei casi dall'operatore di subordinazione se) forma­no, insieme alle proposizioni sovraordinate da cui dipendono, frasi complesse tradizionalmente chiamate «periodi ipotetici», che noi chiameremo anche «costrutti condizionali».

All'interno di un costrutto condizionale la proposizione subordi­nata viene chiamata «protasi», mentre la proposizione sovraordinata viene chiamata «apodosi»; prese singolarmente protasi ed apodosi possono essere frasi semplici, come in (1), oppure frasi complesse che contengono proposizioni coordinate, come in (2), o frasi com­plesse contenenti (almeno) una proposizione subordinata come in (3):

(1) Se partiamo abbastanza presto, non troveremo molto traffico.

(2) Se il treno non è in ritardo ed i vagoni non sono troppo affolla­ti, faremo un viaggio comodo ed arriveremo in tempo per la partita.

(3) Se credi di essere troppo stanco per fare quel lavoro, sarà me­glio affidarlo a qualche altro tuo collega.

Inoltre l’apodosi di un costrutto condizionale non deve essere ne­cessariamente una proposizione principale, ma può essere a sua volta subordinata ad un'altra proposizione principale, come in (4):Mi hanno detto che dovrò fare un'ottima prova, se voglio vera­mente ottenere l'incarico.

a)Semantica del costrutto condizionale

Parlando di «periodo ipotetico» e «costruttto condizionale» si identifica la costruzione in base alle sue caratteristiche funzionali: con la protasi si «ipotizza» una «condizione», soddisfatta la quale si ha come «conseguenza» quanto espresso dall'apodosi. Il costrutto esprime globalmente un'ipotesi  ed instaura fra il contenuto proposizionale della protasi (che simbolizzeremo con «p») e quello dell'apodosi (che simbolizze­remo con «q») un rapporto del tipo «condizione-conseguenza».

Per esempio, con una frase come (1) si ipotizza che, soddisfatta la condizione di una partenza sufficientemente mattiniera (p), si avrà come conseguenza un viaggio tranquillo per la scarsità di traffico (q): p e q non sono presentati sicuramente ed indipendentemente come veri, ma data la verità di p deve seguirne la verità di q. Questo aspetto del significato di un costrutto condizionale può essere così riassunto: un costrutto condizionale ipotizza che i contenuti proposi­zionali di protasi ed apodosi siano entrambi veri («se p, q» - «Pvero E qvero»).

 

Nel caso in cui alla partenza mattiniera (p) faccia poi séguito un viaggio clamorosamente ritardato dal traffico (non-q) la frase in (1) sarà considerata un «cattivo» consiglio, oppure una previsione «sba­gliata»: un costrutto condizionale non prevede che il contenuto pro­posizionale della protasi sia vero e che quello della apodosi sia falso.

Inoltre nella comunicazione quotidiana, ordinaria, l'enunciazione di una sequenza come (1) suggerisce all'interlocutore che una parten­za ritardata (non-p) avrebbe come conseguenza l'incontro di un den­so traffico (non-q). Questo suggerimento, esprimibile con (5), è una «inferenza sollecitata» (o «invitata») dal costrutto condizionale esem­plificato in (1), e mostra un altro aspetto del significato di un perio­do ipotetico, così riassumibile: un costrutto condizionale ipotizza che i contenuti proposizionali di protasi ed apodosi siano entrambi falsi («se p, q» — «pFalso E q Falso»):

(5) Se non partiamo abbastanza presto, troveremo molto traffico.

Unendo quanto proposto finora, possiamo dire che un costrutto condizionale ipotizza che i contenuti proposizionali di protasi ed apodosi possano essere o entrambi veri, o entrambi falsi (grazie al­l'inferenza sollecitata).

Questo significato, ottenuto per (1) combinando appunto (1) e (5), ov­vero la sua inferenza sollecitata, corrisponde a quello espresso direttamente ed esplicitamente da un costrutto condizionale con la protasi introdotta dal­l'operatore di subordinazione solo se:

(6) Solo se partiamo abbastanza presto non troveremo molto traffico.

Un costrutto come (6), detto «bi-condizionale», ha un significato parafrasabile proprio con l'accostamento di (1) e di (7):

(7) Se non partiamo abbastanza presto, troveremo molto traffico.

La sinonimia tra i costrutti condizionali e quelli bicondizionali, e tra gli operatori di subordinazione se e solo se, è però solo apparente: un costrutto bicondizionale, grazie alla presenza di solo se, ha sempre e per forza l'interpretazione ottenibile combinando insieme gli schemi presentati sopra, men­tre un costrutto condizionale semplice può avere sia l'interpretazione bicondizionale (grazie all'inferenza sollecitata) sia l'interpretazione più debole, priva dell'inferenza sollecitata.

Per esempio, una sequenza come (8) presenta, tramite la coordinazione dei due infiniti, non una ma due condizioni, e può essere parafrasata con un costrutto che abbia due protasi coordinate, una per ogni condizione, come (9):

(8) Se continua a non piovere e a non nevicare, la prossima estate rischiere­mo la siccità.

(9) Se continua a non piovere e se continua a non nevicare, la prossima estate rischieremo la siccità.

Ma in (9) non è possibile dare una interpretazione bicondizionale alle due protasi, e non è possibile sostituire i due se con due solo se, come si vede dalla inaccettabilità di (10):

(10) Solo se continua a non piovere e solo se continua a non nevicare, la prossima estate rischieremo la siccità.

Infatti il significato di solo entra in contraddizione con il significato di e; l'unica interpretazione possibile per i due se di (9) è quella semplice, priva dell'in­ferenza sollecitata. L'interpretazione bicondizionale (con l'inferenza solleci­tata) può emergere solo combinando le due condizioni in un unico conte­nuto proposizionale complesso; così l'interpretazione di (11) può essere pa­rafrasata con l'accostamento di (12a-b):

(11) Solo se continua [a non piovere e a non nevicare], la prossima estate rischieremo la siccità.

(12) a. Se continua [a non piovere e a non nevicare], la prossima estate

rischieremo la siccità.

b. Se non continua [a non piovere e a non nevicare], la prossima estate non rischieremo la siccità.

Formalizzeremo quindi la differenza di significato esistente fra i costrutti bi-condizionali ed i costrutti condizionali con gli schemi rappresentati ri­spettivamente in (13) ed in (14):

(13) «Solo Se p, q» —» «Pvero E qvero» O «pFalso E qFalso»

(14) «Se p, q» — «pVero E qvero» (O «Pfalso E qFalso»)

b)Concordanza dei tempi e semantica dei modi

 

L'italiano presenta un sistema standard di concordanza di modi e Tempi verbali all'interno dei costrutti condizionali, che nella lingua contemporanea è affiancato da una variante colloquiale che si sta dif­fondendo anche a livelli più alti, e da un sistema «substandard» tipi­co solamente di alcune varietà più basse.

Nel primo sistema è possibile avere l'indicativo in protasi ed apo dosi, come in (15), il congiuntivo imperfetto nella protasi e il condi­zionale semplice nell'apodosi, come in (16), e il congiuntivo piucche­perfetto nella protasi e il condizionale composto nell'apodosi, come in (17) :

(15) Se vieni alla festa, ti divertirai moltissimo.

(16) Se venissi alla festa, ti divertiresti moltissimo.

(17) Se fossi venuto alla festa, ti saresti divertito moltissimo.

La variante colloquiale del sistema standard, presente talora anche in livelli più alti, prevede la possibilità che l'indicativo imperfetto sostituisca il congiuntivo piuccheperfetto nella protasi e / o il condizionale composto nell'apodosi, come in (18):

(18) a. Se lo sapevo prima, sarei arrivato in tempo a salutarti.

 b. Se lo sapevo prima, arrivavo in tempo a salutarti.

 c. Se l'avessi saputo prima, arrivavo in tempo a salutarti.

Il tipo in (18b) è presente nel seguente es. da Manzoni, che riproduce il parlato spontaneo:

(19) «Se mi s'accostava un passo di più, soggiunse, l'infilavo addirittura, prima che avesse tempo di accomodarmi me, il birbone» (A. Manzoni,  promessi sposi, cap. XXXTV)

Nell'apodosi si può avere anche il piuccheperfetto con valore di com­piutezza :

(20) Se non fosse successo / succedeva quell'incidente, a quest'ora eravamo già arrivati.

Nel sistema «substandard» invece dei modi congiuntivo e condi­zionale appare l'indicativo, così che (2 la) corrisponde all'incirca a (15) (ma a volte anche a (16)), mentre (21b) corrisponde all'incirca a (16) e (17) (anche questo sistema è più complesso di quanto appaia da questa sintetica presentazione, e le corrispondenze con il sistema standard sono più irregolari di quanto qui accennato:

(21) a. Se vieni alla festa, ti divertirai un sacco.

 b. Se venivi alla festa, ti divertivi un sacco.

In vari usi dialettali sono più diffusi sistemi «simmetrici», con congiunti­vo in protasi ed apodosi oppure condizionale in protasi ed apodosi. Questi usi, decisamente substandard, sono ritenuti concordemente inaccettabili, e tuttavia appaiono frequentemente sia in varietà regionali sia anche come lap­sus. Alcuni ess. sono:

(22) «Se io fossi uomo ci andassi ogni sera» (D. Dolci, Conversazioni, Tori­no, 1962, p. 290)

(23) «Io sono sicuro che se farei il boia riuscirei bene» (lo speriamo che me

la cavo. Sessanta temi di bambini napoletani, a cura di M. D'Otta, Mi­lano, Mondadori, 1990, p. 41)

L'uso del congiuntivo nell'apodosi è caratteristica di certo parlato spon­taneo meridionale.

L'uso del condizionale anche nella protasi, come in (23), è molto comu­ne nel linguaggio infantile in tutta Italia.

Non sembra possibile, invece, la combinazione con condizionale nella protasi e congiuntivo nell'apodosi.

c)Il sistema dell'italiano standard

 

Nell'italiano standard è possibile trovare diverse combinazioni di Tempi verbali dell'indicativo in protasi ed apodosi; sono possibili, per esempio, presente più presente, come in (24a), e presente più futuro semplice, come in (24b):

(24) a. Se piove, esco con l'ombrello.

b. Se (domani) piove, uscirò con l'ombrello.

Non c'è una corrispondenza obbligatoria fra Tempo verbale e tempo cronologico: in (24a) ad esempio il presente non è necessariamente «deitti­co», anzi è più facilmente interpretabile come presente «atemporale», e in (24b) è orientato, anche grazie alla presenza di domani nella protasi e di un tempo futuro nell'apodosi, verso il futuro.

Sono poi possibili combinazioni di futuro semplice più futuro semplice come, in (25a), perfetto composto più presente, come in (25b), perfetto composto più futuro semplice, come in (25c), e per­fetto composto più perfetto composto, come in (25d):

(25) a. Se domani ci sarà bel tempo, andremo a sciare.

b. Se hai comprato il giornale, possiamo vedere che film ci sono stasera.

c. Se ti sei ricordato di portare la carbonella, forse riusciremo a preparare la grigliata.

d. La settimana scorsa ho telefonato a Giorgio, ma non sono riuscito a trovarlo in casa: se è andato in vacanza, ha final­mente potuto riposarsi.

In (25d) il contesto linguistico precedente il costrutto condizionale ne permette una lettura più naturalmente ipotetica: «Non so se Giorgio è an­dato in vacanza: lo ipotizzo solamente sulla base della sua mancata risposta al telefono; nel caso ci sia andato, starà godendosi il suo meritato riposo». Di solito invece i costrutti condizionali con i tempi passati dell'indicativo sono più facilmente interpretati come causali, cioè «fattuali», piuttosto che ipotetici, come si vede dalla parafrasi (26b) di (26a):

(26) a. Se hai sostenuto quella posizione, hai avuto torto.

b. Siccome hai sostenuto quella posizione, hai avuto torto.

 

Esistono costrutti condizionali con l'imperfetto in protasi ed apodosi, da non confondere con quelli formalmente identici ma apparte­nenti o alla variante colloquiale del sistema standard (v. la frase (18b)) o al sistema «substandard» (v. la frase (21b) ; in questi costrutti il se assume un valore parafrasabile con ogni volta che:

(27) In quel periodo se riuscivamo ad alzarci abbastanza presto cor­revamo subito a guardare l'alba, e poi nella stalla per bere il latte appena munto.

Non sono possibili costrutti condizionali con il perfetto semplice in protasi ed apodosi , come si vede dall'inaccettabilità di (28):

(28) Se prenotammo in tempo, assistemmo alla prima di Falstaff.

 

Oltre all'indicativo l'italiano stan­dard prevede nei periodi ipotetici combinazioni di congiuntivo più condizionale; si trovano usualmente il congiuntivo imperfetto nella protasi e il condizionale semplice nell'apodosi, come in (29a-b), o il congiuntivo piuccheperfetto nella protasi e il condizionale composto nell'apodosi, come in (29c):

(29) a. Se piovesse molto forte, uscirei con l'ombrello.

 b. Se fossi un marziano, avrei le orecchie verdi.

 c. Se non foste arrivati in ritardo, non avreste perso il treno.

 

Sono però anche possibili costrutti che presentino il congiuntivo piuccheperfetto nella protasi e il condizionale semplice nell'apodosi, come in (30a): in questo modo viene segnalata la «distanza» cronolo­gica tra i contenuti espressi dalle due proposizioni; inoltre sono pos­sibili costrutti con il congiuntivo imperfetto nella protasi e il condi­zionale composto nell'apodosi, come in (30b):

(30) a. Se quell'edificio fosse stato venduto, nell'archivio del cata­sto ce ne sarebbe traccia, b. Se Enrico fosse a casa, avrebbe risposto al telefono.

 

Utilizzando l'opposizione tra la concordanza all'indicativo e quel­la al congiuntivo-condizionale all'interno di un periodo ipotetico un parlante indica diversi gradi di «probabilità» per i contenuti proposi­zionali di protasi ed apodosi:

— l'uso dell'indicativo segnala la «possibile verità» dei contenuti;

— l'uso del congiuntivo-condizionale ne segnala la «possibile fal­sità».

L'opposizione è illustrata attraverso il confronto tra due costrutti le cui proposizioni componenti esprimano gli stessi contenuti:

(31) a. Se nevica prima di domenica, andiamo a sciare a Cortina.

 b. Se nevicasse prima di domenica, andremmo a sciare a Cor­tina.

In (3 la) il progetto viene presentato come molto più probabile rispetto a (31b): nel primo caso viene configurata la possibilità che nevichi, con la conseguente vacanza sugli sci, mentre nel secondo ca­so viene configurata la possibilità che non nevichi, con la conseguen­te rinuncia alla vacanza sugli sci.

Questa differenza si evidenzia con una prova di compatibilita semantica. Aggiungendo ad un periodo ipotetico all'indicativo una frase da cui si possa inferire la «sicura falsità» del contenuto proposizionale della protasi, si ot­tiene una sequenza semanticamente anomala, perché la «possibile verità» se­gnalata dall'indicativo si scontra con un contenuto «sicuramente falso»:

(32) Se Gianni è in macchina ci può dare un passaggio, ma oggi Gianni è

venuto in autobus.

 

Allo stesso modo, aggiungendo ad un periodo ipotetico al congiuntivo-condizionale una frase da cui si inferisca la «sicura verità» del contenuto proposizionale della protasi si ottiene di nuovo una sequenza semanticamen­te anomala, perché la «possibile falsità» segnalata dal congiuntivo-condizio­nale si scontra con un contenuto «sicuramente vero»;

(33) a. Se Gianni fosse in macchina potrebbe darci un passaggio, ma

Gianni è (sempre) in macchina.

b. Se Gianni fosse stato in macchina avrebbe potuto darci un pas­saggio, ma Gianni era in macchina.

d) I costrutti 'controfattuali'

 

Alcuni periodi ipotetici al congiuntivo-condizionale non sembra­no comunicare la «possibile falsità» dei contenuti proposizionali di protasi ed apodosi, quanto piuttosto la loro «sicura falsità»: sono i costrutti tradizionalmente chiamati «controfattuali» o «periodi ipote­tici dell'irrealtà». Questi casi, comunque, non costituiscono un tipo a parte. Come vedremo subito, i costrutti con congiuntivo imperfetto e condizionale semplice sono interpretati come controfattuali solo quando all'indicazione morfosintattica di «possibile falsità» si aggiun­gono altre indicazioni di falsità, provenienti in genere dal confronto fra contenuto proposizionale espresso e contesto extralinguistico; quanto ai costrutti con congiuntivo piuccheperfetto e / o condiziona­le composto, essi sono sempre interpretati come controfattuali, a meno

 che dal contesto linguistico emergano indicazioni del contrario, ovvero segnalazioni di «non-falsità» (come si vedrà in (36), (37) e (38b)).

La controfattualità non è quindi un significato rigidamente connesso ad una determinata concordanza di modi e Tempi verbali, ma un effetto se­mantico complesso, che deriva dall'interazione della morfosintassi (congiun­tivo imperfetto più condizionale semplice o congiuntivo piuccheperfetto e / o condizionale composto) con il contenuto proposizionale di protasi ed apodosi e con il contesto linguistico ed extralinguistico.

La combinazione «congiuntivo imperfetto nella protasi + condi­zionale semplice nell'apodosi» sembra neutralizzare l'opposizione tra «mera ipoteticità» e «controfattualità», poiché può esprimere sia l'u­no sia l'altro valore semantico; essa è utilizzabile per esempio anche in (34a), che presenta solo un'ipotesi, e non due contenuti proposi­zionali «falsi»:

(34) a. Se piovesse molto forte, uscirei con l'ombrello. (= 29a)

 b. Se fossi un marziano, avrei le orecchie verdi. (= 29b)

Un costrutto come (34a) può essere enunciato con tono polemi­co, da un parlante che sta uscendo «senza» ombrello in una giornata appena piovigginosa: in questo caso si otterrebbe una interpretazione «controfattuale», come, all'incirca, «non piove molto forte, e (perciò) sto uscendo senza ombrello».

La controfattualità compare dunque quando all'indicazione di «possibile falsità» fornita dalla concordanza si aggiunge una indica­zione di «sicura falsità» derivata dal confronto tra il contenuto pro­posizionale espresso dal costrutto ed il contesto extralinguistico: per (34b) il parlante patentemente non è un marziano, e non ha le orec­chie verdi; per l'interpretazione controfattuale di (34a), al momento dell'enunciazione sta piovendo poco, ed il parlante sta uscendo senza ombrello.

Ora, nelle frasi (35) la comparsa del congiuntivo piuccheperfetto nella protasi e/o del condizionale composto nell'apodosi sembra segnalare la falsità dei contenuti proposizionali espressi dal costrutto, e quindi la controfattualità:

(35) a. Se quell'edificio fosse stato venduto, nell'archivio del cata­sto ce ne sarebbe traccia. (= 30a)

b. Se Enrico fosse a casa, avrebbe risposto al telefono. (= 30b)

c. Se non foste arrivati in ritardo, non avreste perso il treno.(= 29c)

 

Ma una protasi al congiuntivo piuccheperfetto non è una condi­zione sufficiente per ottenere una interpretazione controfattuale; in (36) il contesto linguistico aggiunto a (35a) mostra che con il costrut­to condizioniale il parlante sta solo compiendo un'ipotesi sul passato (da verificare nel presente):

 

(36) Se quell'edificio fosse stato venduto, nell'archivio del catasto ce ne sarebbe traccia: bisogna quindi passare a controllare in quel­l'ufficio.

 

Neppure una apodosi al condizionale composto è condizione suf­ficiente per ottenere una interpretazione controfattuale: (35b) sembra comunicare che «Enrico non è a casa, e (perciò) non ha risposto al telefono», ma la versione «condizionale concessiva» di (35b), cioè

(37), presenta ugualmente una apodosi al condizionale composto, senza per questo segnalarne la falsità:

(37) a. Anche se Enrico fosse a casa, non avrebbe risposto al tele­fono.

b. Se Enrico fosse a casa, non avrebbe comunque risposto al telefono.

(37) è parafrasabile con «è possibile che Enrico sia a casa, ed è pos­sibile che non lo sia; in un caso come nell'altro 'non' risponderebbe al telefono».

Anche nel caso in cui compaiano sia il congiuntivo piuccheper­fetto nella protasi sia il condizionale composto nell'apodosi l'interpretazione controfattuale non è garantita. Se infatti (38a) sembra in­dicare che il protagonista «non» è partito alle 3, e che (quindi) «non» è arrivato alle 9, una sequenza come (38b), con due costrutti condizionali collegati asidenticamente, mostra che il parlante sta fa­cendo solo ipotesi sul passato, come nel caso di (36), e non ha alcu­na certezza sulla falsità dei contenuti proposizionali espressi da pro­tasi ed apodosi:

 

(38) a. Se avesse preso il treno delle 3 sarebbe arrivato alle 9.

b. Se avesse preso il treno delle 3 sarebbe arrivato alle 9; se avesse preso quello delle 5 sarebbe arrivato alle 11; adesso sono le 13, e quindi dovremmo comunque trovarlo in al­bergo.

Le stesse ipotesi, presentate con maggior sicurezza, possono esse­re espresse dalla versione all'indicativo di (39):

 

(39) Se ha preso il treno delle 3 è arrivato alle 9; se (invece) ha pre­so quello delle 5 è arrivato alle 11; adesso sono le 13, e quindi lo troveremo sicuramente in albergo.

 

Per quanto abbiamo detto, non è stata utilizzata qui la tradizionale di­stinzione fra periodo ipotetico della realtà, periodo ipotetico della possibili­tà, e periodo ipotetico della irrealtà (ispirata dalla tripartizione latina fra casus nalis, casus posstbilis, e casus trrealis). Secondo questa distinzione, infatti, ogni tipo di periodo ipotetico è correlato ad una specifica concor­danza di modi e Tempi: l'indicativo segnala una ipotesi reale, il congiuntivo imperfetto ed il condizionale semplice segnalano una ipotesi possibile, o una ipotesi irreale nel presente, ed il congiuntivo piuccheperfetto ed il condizionale composto segnalano una ipotesi irreale nel passato. Ma in italiano standard un periodo ipotetico con la concordanza al congiuntivo piucche­perfetto e / o condizionale composto può avere sia una lettura controfattua­le (irrealtà), come negli esempi (35) e (38a), sia una lettura meramente ipo­tetica (possibilità), come negli esempi (36), (37) e (38b). Un costrutto con­dizionale con la concordanza all'indicativo può segnalare una ipotesi reale, come negli esempi (24) e (25), ma anche la correlazione di due «fatti», co­me in (26a), e può avere persino una lettura controfattuale, come combinazione di due contenuti proposizionali «falsi».

 

Se un periodo ipotetico viene inserito in un discorso indiretto al passato (e gli eventi citati sono già avvenuti al momento dell'enuncia­zione) la concordanza dei modi e dei Tempi prevede solo la combi­nazione «congiuntivo piuccheperfetto + condizionale composto», in­dipendentemente dalla forma che il costrutto potrebbe avere nella corrispondente versione in discorso diretto. Così la «scelta» dei modi e Tempi di (40d), obbligata dalla concordanza del discorso indiretto, «neutralizza» completamente le differenze semantiche sia modali che temporali esistenti fra le prime tre frasi di (40):

 

(40) a. Aldo mi ha detto: «Se XY vince / vincerà le elezioni, ti offro / offrirò una cena».

b. Aldo mi ha detto : «Se XY vincesse le elezioni, ti offrirei una cena».

c. Aldo mi ha detto: «Se XY avesse vinto le elezioni, ti avrei offerto una cena».

d. Aldo mi ha detto che se XY avesse vinto le elezioni mi avrebbe offerto una cena.

 


Дата добавления: 2019-07-15; просмотров: 108; Мы поможем в написании вашей работы!

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